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148 | capitolo quarto |
della voce, la severa dignità del volto mal si accordavano con la mansuetudine umile delle parole, «questo è buono per me peccatore che da tre anni vivo, per lo spirito, nella mollezza e nelle delizie, vivo nella pace, vivo nell’affetto di persone sante, vivo in un’aria piena di Dio. Le Sue parole sono buone e dolcissime all’anima mia, sono una grazia del Signore, mi hanno fatto sentire con le loro punte quanto orgoglio vi è ancora in me che non lo sapevo, perchè nel disprezzarmi da me sentivo piacere. Come servo, poi, della santa Verità, le dico che la durezza non è buona neppure con uno che inganna, perchè forse la soavità lo farebbe pentire del suo inganno; e che nelle parole della Paternità Vostra non è lo spirito del nostro Padre solo e vero, al quale sia gloria.»
Nel dire «al quale sia gloria» Benedetto cadde ginocchioni, acceso in viso da un fervore augusto.
«Sei tu, peccatore tristo, che vuoi fare il maestro?» esclamò l’Abate.
«Ha ragione, ha ragione» rispose Benedetto di slancio, affannosamente e giungendo le mani. «Ora Le dico il mio peccato. Desiderai l’amore illecito, mi compiacqui della passione di una donna ch’era d’altri come d’altri ero io e l’accettai. Lasciai ogni pratica di religione, non curai di dare scandalo. Questa donna non credeva in Dio e io disonorai Dio presso di lei colla mia fede morta,