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144 capitolo quarto


L’Abate aspettava Benedetto suonando un pezzo di sua composizione con le nocche delle dita, e accompagnando il suono con diabolici storcimenti delle labbra, delle narici, delle sopracciglia. Udito bussar discretamente all’uscio, non rispose nè tralasciò di suonare. Terminato il pezzo, lo ricominciò, lo suonò una seconda volta da capo a fondo. Poi stette in ascolto. Fu bussato ancora, più lievemente di prima. L’Abate esclamò:

«Seccatore!»

E, strappati alcuni accordi, si pose a fare delle scale cromatiche. Dalle scale cromatiche passò agli arpeggi. Poi stette ancora in ascolto, per tre o quattro minuti. Non udendo più nulla, andò ad aprire, vide Benedetto che s’inginocchiò.

«Chi è costui?» diss’egli, ruvido.

«Il mio nome è Piero Maironi» rispose Benedetto «ma qui al monastero mi chiamano Benedetto.»

E fece l’atto di prender la mano dell’Abate per baciarla.

«Un momento!» disse l’Abate, accigliato, ritraendo e alzando la mano. «Cosa fate qui?»

«Lavoro nell’orto del monastero» rispose Benedetto.

«Sciocco!» esclamò l’Abate. «Domando cosa state facendo qui davanti alla mia porta!»

«Ero per venire da Vostra Paternità.»