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notte di tempeste | 119 |
innocenza dell’erba? E qual demonio sinistro lo attendeva lì sotto, carponi sulla pietra, simulando un cespuglio per avventarglisi? Non lo aspettavano i demonii anche nel monastero? Non si annidavano negli occhi del torrione? Non avevano quegli occhi una fiamma nera? No, no, adesso non più; adesso lo fissavano semichiusi e beffardi. Il rombo dell’Aniene, questo? No, il ruggito dell’Abisso trionfante. Non credeva interamente a quello che vedeva, a quello che udiva, ma tremava tremava come una festuca nel vento e le miriadi di spilli gli camminavano per tutta la persona. Cercò svincolar i piedi dai viluppi di serpi, non gli riuscì. Dal terrore alla collera: «devo potere!» esclamò, forte. Dalla gola fosca di Jenne gli rispose il sordo rumor del tuono. Guardò a quella volta. Un lampo aperse le nubi sopra il negrore del monte Preclaro e sparì. Benedetto si provò di levar i piedi dalle serpi e ancora la leonina voce del tuono lo minacciò.
«Cosa faccio?» si diss’egli, cercando raccapezzarsi. «Perchè voglio scendere?»
Non lo sapeva più, ebbe bisogno di uno sforzo mentale per ricordare. Ecco, aveva pensato di scendere a dormire perchè la preghiera era inutile a un uomo sicuro di salire al cielo. E un lampo arse anche dentro di lui:
«Io tento Iddio!»