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notte di tempeste | 101 |
Don Clemente baciò rassegnato la mano del paterno vecchio.
«Adesso all’altro argomento!» disse costui. «Apprendo che qui nell’Ospizio dei pellegrini, dove di regola non ci dovrebbe abitare stabilmente che il vaccaro, ci sta da tre anni un giovine che ci avete collocato voi; oh, col permesso del mio predecessore, s’intende! Un giovine che vi è molto legato, che voi dirigete spiritualmente, che fate anche studiare in biblioteca. Vero che lavora nell’orto, vero che mostra una pietà grande, ch’è di edificazione a tutti, ma però, siccome non pare che abbia l'intenzione di farsi religioso, questo suo soggiorno nell’Ospizio nostro dove occupa un posto da tre anni, è poco regolare. Cosa me ne potete dire? Sentiamo.»
Don Clemente sapeva che alcuni suoi confratelli, e non i più vecchi ma proprio i più giovani, non approvavano l’ospitalità concessa dall’Abate defunto a Benedetto. Neppure andava loro troppo a sangue che don Clemente e lui fossero tanto legati. Qualche dispiacere per questo, don Clemente l’aveva già avuto. Comprese che quei tali non avevano perduto tempo, che stavano già lavorando il nuovo Abate. Il suo bel viso si colorò di rossore. Egli non rispose subito, volendo prima spegnersi dentro il suo corruccio con un atto di perdono mentale; poi disse ch’era suo dovere e suo desiderio d’informarlo.