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notte di tempeste | 99 |
«Eh, sì!»
«Bene bene bene» fece l’Abate; e fiutò, contento, una grossa presa di tabacco. «Io non conosco questi signori Selva, ma c’è a Roma chi li conosce o crede di conoscerli. Non è uno scrittore, il signor Selva? Non ha scritto di religione? Mi figuro che sarà un rosminiano, a giudicare dalla gente che ce l’ha su con lui; gente indegna di allacciar le scarpe a Rosmini, ma intendiamoci! Rosminiani sicuri sono quelli di Domodossola e non quelli che hanno moglie, eh? Dunque stasera, dopo cena, ho ricevuto una lettera da Roma. Mi scrivono – un pezzo grosso, capite, – che appunto stasera si doveva tenere in casa di questo falso cattolico signor Selva un conciliabolo di altri insetti malefici come lui, e che probabilmente vi ci sareste recato anche voi, e che io dovevo impedirlo. Non so cosa avrei fatto, perchè se parla il Santo Padre obbedisco, se non parla il Santo Padre rifletto; ma per vostra fortuna voi eravate già fuori. Del resto c’è della brava gente che scoverà qualche eretico anche in Paradiso. Adesso voi mi dite che la vostra coscienza è tranquilla. Dunque non devo credere alla lettera?»
Don Clemente rispose che certamente a casa Selva non ci erano venuti nè eretici, nè scismatici. Vi si era parlato della Chiesa, dei suoi mali, di possibili rimedî, ma come lo stesso padre Abate avrebbe potuto parlarne.