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98 | capitolo terzo |
musica e il tabacco da fiuto, dedicava a Mozart e a Haydn gran parte del tempo non largo che gli concedevano i suoi doveri religiosi e le cure del governo. Era intelligente, alquanto bizzarro, ricco di una cultura letteraria, filosofica e religiosa ferma sdegnosamente sul 1850. Piccolo, canuto, aveva una fisonomia arguta. Certi suoi modi orobii, certe familiarità ruvide avevano meravigliato i monaci, avvezzi alle maniere squisitamente signorili del suo predecessore, nobile romano. Veniva da Parma ed era entrato in carica da soli tre giorni.
Don Clemente gli s’inginocchiò davanti, gli baciò la mano.
«Che mode avete voialtri a Subiaco?» disse l’Abate. «Fate venire le dieci alle undici?»
Don Clemente si scusò. Aveva tardato per un dovere di carità. L’Abate lo fece sedere.
«Figlio mio» diss’egli. «Voi soffrite il sonno?»
Don Clemente sorrise, non rispose.
«Ebbene» riprese l’Abate «voi ne avete buttato via un’ora e adesso io ho le mie ragioni di prendervene un altro poco. Vi devo parlare di due cose. Mi avete chiesto il permesso di recarvi a visitare certi signori Selva. Ci siete andato? Sì? Potete dirmi di essere tranquillo nella vostra coscienza?»
Don Clemente fu pronto a rispondere con un lieve gesto di sorpresa: