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notte di tempeste 95

Clemente non le aveva contate dal principio e temeva il peggio, aveva perduta, per tante diverse emozioni, la misura del tempo. Che andava mai a capitare! Chi avrebbe previsto? E che accadrebbe ora? Uscirono dal piano erboso e s’incamminarono per la ripida, sassosa mulattiera, don Clemente davanti, Benedetto alle sue spalle, ambedue con l’anima in tempesta, silenziosi, rispondendo ai loro pensieri la scura voce dell’Aniene. Ecco, ad una svolta, i lumi lontani di Subiaco. Pochi; sono forse le undici! In breve l’angolo nero del recinto di Santa Scolastica sorge a fronte dei viandanti. Per quali occulte vie, pensa Benedetto, non lo ha condotto Iddio dalle logge di Praglia, dove Jeanne lo ha tentato e vinto, a questa faticosa salita nelle tenebre, verso un altro luogo santo, con lei vicina e il cuore fondato in Cristo! Intanto le ragioni della prudenza pratica prementi, in quella distretta, su don Clemente e le ragioni della santità ideale, insegnate da lui al diletto discepolo in tempo di calma, si contendevano la sua volontà non più tanto ferma; le prime da vicino con violenza imperiosa, le seconde da lontano, con la sola bellezza severa e mesta. Le due «luci sante», alte sopra l’angolo nero del recinto, lo guardavano appunto, come gli parve, severe e meste. Oh terra impura, pensò, terra trista! E forse prudenza impura, prudenza trista, la prudenza terrena!