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92 capitolo terzo

tura, chiudo il libro, mi metto a pensare. Pensavo a quello che scrive Sant’Agostino del lavoro manuale dei monaci, pensavo alla Regola di san Benedetto, a Rancé, e come si potrebbe ritornare, nell’Ordine benedettino, al lavoro manuale. Poi, in un momento di stanchezza, avendo però in cuore quella grandezza immensa di Sant’Agostino, ho creduto proprio di udire una voce dalla strada alta: «Magister adest et vocat te». Sarà stata un’illusione, sarà stato per Sant’Agostino, per un ricordo inconscio del «Tolle, lege», non dico di no, ma intanto tremavo, tremavo come una foglia. E mi venne questo dubbio pauroso: che il Signore mi voglia monaco? Ella lo sa, padre mio, perchè gliel’ho detto ancora forse due o tre volte, che questo si accorderebbe con la fine della mia Visione, almeno in una cosa. Le ho però anche detto, quando Lei mi consigliava, come don Giuseppe Flores, di non credere nella Visione, che appunto per me questa era una ragione di non crederci, non solo perchè mi sento indegno di essere sacerdote, ma più ancora perchè mi ripugna stranamente di entrare in qualsiasi Ordine religioso. Però, se Iddio me lo imponesse! Se questa grande ripugnanza fosse appunto una prova! Volevo parlarle quando siamo andati dai Selva, ma Lei aveva fretta, non era possibile. Là, su quel fascio di legne, sotto quelle rubinie, ho avuto