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90 | capitolo terzo |
fosse giunto per il discepolo uno di quei terribili cimenti interni che gli facevano fuggire il povero giaciglio e le ombre chiuse, complici del Maligno nel martoriargli la immaginazione.
«Mi ascolti, padre» disse Benedetto.
Il suo accento fu così fermo, significò a don Clemente tanta gravità di prossime parole, che questi non credette di dover insistere sull’ora inoltrata. Uditi in alto zoccoli ferrati di cavalcature scendere alla loro volta, i due uscirono sul breve piano erboso che porta umili avanzi delle magnificenze neroniane incontro ad archi sperduti nel carpineto selvaggio dell’altra sponda, membra un tempo delle uniche Terme, cui ora divide in profondo il pianto dell’Aniene. Sopra quegli archi era la dimora del prete diabolico e delle peccatrici insidianti ai figli di San Benedetto. Il monaco pensò a Jeanne Dessalle. Là in fondo alla gola, alte sopra il monte Preclaro e il monte di Jenne Vecchio, splendevano le due stelle di cui si era parlato sulla terrazza dei Selva come di luci sante.
Aspettarono che passassero le cavalcature. Passate che furono, Benedetto abbracciò il suo maestro in silenzio. Don Clemente, sorpreso, sentendolo scosso da tremiti, da sussulti, immaginando che lo avesse turbato così la vista di quella signora, gli ripeteva:
«Coraggio, caro, coraggio, questa è una prova che il Signore ti manda.»