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delle spingarde, mettendo a dura prova il coraggio degli assalitori.

Yanez non perdeva tempo. Sparava un colpo di carabina, la cui palla abbatteva quasi sempre un uomo, poi balzava alla spingarda appena era stata ricaricata e prendeva d’infilata la colonna che si avanzava verso la saracinesca, facendo dei tiri veramente meravigliosi, che stupivano lo stesso Tremal-Naik e che strappavano grida di entusiasmo agli uomini del kampong.

I dayachi, che non si sentivano troppo sostenuti dalle loro artiglierie dirette da pessimi tiratori, nè dai loro fucilieri, più abili nel lanciare frecce che palle, cercavano di affrettare il passo, incoraggiandosi con urla feroci e coprendosi più che potevano coi loro scudi, come se non potessero venire attraversati dai proiettili delle carabine indiane degli assediati. Il fuoco del kampong, vigorosissimo, li decimava per bene. Le loro colonne soffrivano perdite immense e tuttavia non si scompaginavano ancora.

Quando però le spingarde cominciarono a scagliare addosso a loro nembi di mitraglia, coprendoli di chiodi e di frammenti di ferro, si videro oscillare e le linee si aprirono qua e là.

— Avanti! — gridava Yanez, che non si prendeva nemmeno la briga di ripararsi dietro il parapetto. — Date dentro e finiremo per mandarli a rotoli. Mitragliateli alle gambe!

Ed il fuoco aumentava sempre, coprendo le bande di una vera pioggia di piombo, di ferro e di chiodi.

Tigri di Mompracem e uomini della fattoria gareggiavano in bravura ed in audacia, risoluti a non permettere ai dayachi di giungere sotto le cinte e di slanciarsi all’attacco.

Soprattutto le spingarde facevano delle vere stragi gettando a terra, ad ogni scarica di mitraglia, un buon numero d’uomini. Non producevano ferite mortali, è vero, ma mettevano i guerrieri fuori di combattimento, rovinando loro le gambe.

Nondimeno, malgrado le enormi perdite, quegli ostinati selvaggi non accennavano ancora ad arrestarsi. Anzi, con un ultimo slancio giunsero presto dinanzi alla zona alberata, gettandosi coraggiosamente in mezzo alle spine dove si appiattirono per prendere un po’ di riposo e per riordinarsi prima di tentare l’ultimo sforzo.

— Quella è vera carne da cannone — disse Yanez, la cui fronte si era rabbuiata. — Non credevo che potessero spingersi così vicini. È bensì vero che non sono ancora sulle cinte e che se le