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70 | emilio salgari |
— disse Yanez, vuotando poi d’un fiato il bicchiere. — Ed ora spiegami questo mistero.
— Una domanda prima di tutto, se me lo permetti. Come sei giunto?
— Con la Marianna e dopo aver forzata la foce del fiume. Più tardi ti narrerò i particolari di quella lotta.
— Dove l’hai lasciata?
— All’embarcadero.
— È numeroso l’equipaggio?
— Ha forze uguali alle mie.
Tremal-Naik era diventato meditabondo ed inquieto.
— Sono uomini capaci di difendere il mio veliero — disse Yanez, che se n’era accorto.
— Sono molti i dayachi, più di quanti credevo e soprattutto ben armati e anche bene esercitati.
— Dal «pellegrino»?
— Sì, Yanez.
— L’avrai veduto, tu, quel briccone?
— Io? Mai!
— Non sai nemmeno tu chi è? — chiese Yanez al colmo dello stupore.
— No — rispose Tremal-Naik. — Io gli ho mandato un messo due settimane or sono, pregandolo di presentarsi da me per spiegarmi i motivi del suo odio, promettendogli salva la vita.
— E lui si è guardato bene dall’obbedire?
— Mi ha fatto rispondere invece che andassi io da lui onde consegnargli la mia testa, unitamente a quella di mia figlia.
— Tanta audacia ha avuto quel miserabile! — esclamò Yanez, indignato. — Udiamo: hai mai offeso qualche capo dayaco? Quei tagliatori di teste sono ferocemente vendicativi.
— Io non ho mai fatto male a nessuno, e poi quell’uomo non è un dayaco — rispose l’indiano.
— Chi è dunque?
— Alcuni affermano che sia un vecchio arabo fanatico, altri un negro e altri ancora un indiano.
— Eppure ci deve essere un gran motivo per odiarti tanto.
— Certo, ma più ci penso meno riesco a scoprirlo, ed invano tormento il mio cervello. Mi è venuto perfino un sospetto.
— Quale?
— È così assurdo che rideresti se te lo dicessi — disse Tremal-Naik.