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68 | emilio salgari |
— Vi guido io.
— Siete pronti? — chiese Yanez rivolgendosi ai pirati.
— Pronti tutti, capitano.
— Caricate al grido di «Viva Mompracem!», onde non corriamo il pericolo di farci fucilare dai difensori del kampong. Avanti!
I diciotto uomini si erano slanciati a corsa sfrenata, piombando sul gruppo più vicino. Nessuno poteva ormai più trattenere le terribile Tigri della Malesia: nè artiglierie, nè fucili, nè armi bianche.
Con una scarica fulminarono i cinque o sei dayachi che avevano abbandonato precipitosamente il falò attorno a cui bivaccavano, poi attraversarono come un lampo la debole linea d’assedio, continuando a sparare e urlando a squarciagola:
— Viva Mompracem!
I tagliatori di teste, sorpresi da quell’improvviso assalto, che erano ben lungi dall’aspettarsi, non avevano nemmeno tentato di opporre resistenza, sicchè l’animoso drappello potè gettarsi dentro il boschetto spinoso che copriva la cinta.
Degli uomini erano comparsi sulle difese interne armati di fucili. Pareva che si preparassero a far fuoco, quando una voce imperiosa gridò:
— Fermi! Sono amici! Aprite la porta!
— Ohè, amico Tremal-Naik! — gridò Yanez con voce giuliva. — Non abbiamo affatto bisogno di piombo noi. Ne abbiamo avuto già abbastanza di quello dei dayachi.
— Yanez! — esclamò l’indiano, con una vera esplosione di gioia.
— Chi credevi che fosse dunque?
— Alzate la saracinesca! Lesti! I dayachi tornano alla riscossa!
Una enorme tavola di legno di teck, pesante come se fosse di ferro, fu innalzata da parecchi uomini mediante funi sospese a grosse carrucole e le Tigri di Mompracem, col pilota ed il meticcio, si precipitarono entro il kampong, mentre i difensori della cinta salutavano gli assedianti con due colpi di spingarda ed un violentissimo fuoco di fucileria.
Un uomo di statura piuttosto alta, un po’ attempato, avendo i baffi ed i capelli brizzolati, di taglia però ancora elegante ed insieme vigorosa, dai lineamenti fini, la pelle un po’ abbronzata e gli occhi nerissimi, aveva aperte le braccia per stringere il portoghese.
Non indossava il costume dei ricchi bornesi, bensì quello degli indiani modernizzati, i quali hanno ormai rinunciato al doote e