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il re del mare 67

— Hanno armi da fuoco?

— Sì, signore.

— Bah! Sappiamo come se ne servono.

Si volse verso i suoi uomini che lo avevano raggiunto e aspettavano il comando di dare addosso ai nemici.

— Date dentro a corpo perduto — disse loro. — Le Tigri di Mompracem mostrino in quale conto tengono questi tagliatori di teste.

— Quando ce l’ordinerete, noi sfonderemo tutto, signor Yanez — rispose il più vecchio. — Voi sapete che noi non abbiamo mai avuto paura.

— Accostiamoci in silenzio e prendiamoli alle spalle. Non farete fuoco se non quando lo comanderò io. Formiamo la colonna d’assalto.

Si disposero su una doppia fila, mettendo dinanzi i più valorosi, poi il drappello si cacciò silenziosamente in mezzo agli zenzeri, che erano abbastanza alti per coprirli.

Yanez si era gettata la carabina a tracolla, ed aveva sfoderata la scimitarra e levata dalla fascia una ricca pistola indiana a due colpi, dalle canne lunghissime.

La traversata della piantagione fu compiuta così celermente che quattro minuti dopo giungevano ad ottanta passi dagli assedianti.

I dayachi, sicuri di non venire assaliti, bivaccavano in gruppetti di quattro o cinque persone, attorno ai falò.

Trecento metri più oltre s’alzava il kampong. Era una specie di kotta, ossia di fortezza bornese, costituita da un corpo di fabbricati, circondato da larghi panconi di durissimo legno di teck, capaci di opporre una solida resistenza anche ai piccoli lila, se non ai mirim, e da un folto boschetto di piante spinose che non permetteva di prenderla d’assalto ad uomini quasi nudi e privi soprattutto di scarpe.

Sul fabbricato principale, una casa di bella apparenza, che ricordava i bengalow indiani, s’alzava una sottile torretta di legno, una specie di minareto arabo, sulla cui cima brillava una grossa lanterna.

— Tangusa — disse Yanez, che aveva fatto coricare i suoi uomini, volendo prima rendersi conto esatto della situazione in cui trovavasi la fattoria — dove si trova il passaggio?

— Di fronte a noi, signore.

— Non cadremo in mezzo alle spine?