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32 | emilio salgari |
gere qualsiasi attacco — rispose il portoghese, avvicinandosi verso il castello di prua.
La Marianna, spinta da una leggera brezza di ponente, scivolava dolcemente, come se appena sfiorasse l’acqua, accostandosi sempre più alla foce del fiume.
La marea che montava ancora doveva facilitare l’entrata, risalendo per un buon tratto il Kabatuan.
L’equipaggio, eccettuati due o tre uomini incaricati della cura dei feriti, era tutto in coperta, al posto di combattimento, non essendo improbabile che i dayachi, nonostante la terribile sconfitta, tentassero nuovamente un abbordaggio o aprissero il fuoco tenendosi nascosti fra i boschetti che coprivano le isole.
Tangusa, che teneva la barra e che, come abbiamo detto, conosceva a menadito la baia, guidò la Marianna in modo da tenerla lontana dai fuochi che ardevano presso le scogliere e che dovevano dominare gli accampamenti dei nemici, poi con un’abile manovra la spinse dentro un canale piuttosto stretto che s’apriva fra la costa ed un isolotto, senza che alcun grido d’allarme fosse partito nè da una parte nè dall’altra.
— Siamo nel fiume, signore — disse a Yanez, che lo aveva raggiunto.
— Non ti sembra un po’ strano che i dayachi non si siano accorti della nostra entrata?
— Forse dormivano della grossa e non sospettavano che noi potessimo trarci così felicemente dal banco.
— Uhm! — fece il portoghese, scuotendo il capo.
— Dubitate?
— Io ritengo che ci abbiano lasciati passare per darci battaglia sull’alto corso del fiume.
— Può darsi, signor Yanez.
— Quando potremo giungere?
— Non prima di mezzodì.
— Quanto dista il kampong dal fiume?
— Due miglia.
— Di foresta, probabilmente.
— E folta, signore.
— Peccato che Tremal-Naik non abbia fondata la sua principale fattoria sul fiume. Noi saremo costretti a dividere le nostre forze. È bensì vero che i miei Tigrotti si battono splendidamente sia sui ponti dei loro prahos, che a terra.