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310 | emilio salgari |
Esaminò attentamente ogni cosa, senza fretta e con gran calma, come un uomo sicuro del fatto suo, poi volgendosi verso Yanez che lo sorvegliava con la destra appoggiata al calcio della pistola, gli disse:
— Quando vorrete...
— Fate pure funzionare il vostro apparecchio.
— Ecco che la nave ci passa a tribordo: salterà — disse Paddy freddamente.
Un brivido era corso per le ossa di tutti i marinai che circondavano l’americano. Sarebbe stato capace di operare quel miracolo quel piccolo uomo?
— Attenzione! — gridò ad un tratto l’americano.
Aveva appena pronunciate quelle parole che un lampo accecante ruppe bruscamente le tenebre, seguìto da uno spaventevole rimbombo.
Una immensa colonna d’acqua s’era alzata attorno al piccolo incrociatore, mentre una tempesta di rottami cadeva tutto all’intorno.
Un immenso urlo, sfuggito da centinaia di petti, era echeggiato lugubremente per l’aria, spegnendosi bruscamente.
La nave era saltata e affondava rapidamente coi fianchi squarciati.
Nel medesimo istante una granata scoppiava sul ponte del Re del Mare fra l’apparecchio e Paddy O’Brien. L’americano aveva mandato un grido ed era caduto quasi ai piedi di Yanez, il quale era sfuggito miracolosamente alle schegge del proiettile.
— Dottore! — gridò il portoghese, precipitandosi verso di lui.
— Le mie... le... mie... — mormorò il disgraziato inventore, agitando le braccia con un gesto disperato.
Si portò le mani al petto, per comprimersi il sangue che sfuggiva da un’orribile ferita.
Sandokan si era slanciato verso le casse.
Un grido di disperazione gli sfuggì.
La granata aveva distrutto l’apparato, e sminuzzato le pile.
Yanez aveva alzato dolcemente la testa dell’americano.
— Signor O’Brien — disse, mentre un singhiozzo gli moriva in gola.
Il ferito aprì gli occhi fissandoli sul portoghese. Un rauco sibilo gli usciva dalle labbra a lunghi intervalli.
— Fi... nito — fi... nito... — rantolò.