Pagina:Il Re del Mare.djvu/31


il re del mare 27

Yanez aveva impugnata una scimitarra e si era messo in mezzo ai suoi uomini.

— Stringete le file attorno alle spingarde! — gridò.

I fucilieri che stavano presso le murate non avevano cessato il fuoco, fulminando a bruciapelo i dayachi dei pontoni e quelli che cercavano di montare all’abbordaggio.

Le canne dei fucili e delle carabine indiane erano diventate così ardenti che scottavano nelle mani dei tiratori.

I dayachi arrivavano, inerpicandosi come scimmie. Ad un tratto atroci urla di dolore scoppiarono fra gli assalitori.

Avevano posate le mani sui fasci di spine che coprivano le murate e che erano dissimulati dalle brande stese sopra i bastingaggi, straziandosi orribilmente le dita; e non reggendo a così atroce dolore si erano lasciati cadere addosso ai compagni, travolgendoli nella loro caduta.

Se non erano per il momento riusciti a scavalcare le murate di bompresso, erano stati invece più fortunati, avendo trovato subito un appoggio sull’albero stesso.

Accortisi delle spine, a gran colpi di kampilang staccarono i fasci gettandoli in mare, ed in dieci o dodici irruppero sul castello di prora mandando urla di vittoria.

— Dentro con le spingarde! — gridò Yanez, che li aveva lasciati fare.

Le quattro bocche da fuoco lanciarono una bordata di chiodi su quel gruppo, spazzando tutto il castello.

Fu una scarica terribile. Nessuno degli assalitori era rimasto in piedi, quantunque non vi fosse nemmeno un morto.

Quei disgraziati, che avevano ricevuto in pieno quella bordata, si rotolavano per il castello, dibattendosi disperatamente e mandando urla spaventevoli e gemiti strazianti.

I loro corpi, foracchiati in cento luoghi dai chiodi, parevano schiumarole gocciolanti di sangue.

La vittoria era nondimeno ancora ben lungi. Altri dayachi salivano da tutte le parti, disperdendo prima le spine con i kampilang e rovesciandosi in coperta, malgrado il fuoco vivissimo delle Tigri di Mompracem.

Là un altro ostacolo però, non meno duro delle spine, attendeva gli assalitori: erano le pallottole d’acciaio che coprivano tutta la tolda e le cui punte non si potevano sfidare senza i pesanti stivali di mare.

Per di più, i gabbieri delle coffe avevano cominciato a lanciare