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corresse rapidamente la mira, poi diede uno strappo al cordone tirafuoco.

La scialuppa non si trovava allora che a trecento metri, non riuscendo a guadagnare via sull’incrociatore.

Il proiettile la colpì con matematica precisione a poppa, asportandole ad un tempo il timone e l’elica e fermandola, per modo di dire, in piena volata.

— Buon viaggio, sir Moreland! — gli gridò il valente artigliere, con voce ironica.

L’anglo-indiano aveva fatto un gesto di minaccia, poi il vento portò fino agli orecchi delle Tigri di Mompracem queste parole:

— Fra poco incontrerete il figlio di Suyodhana!... V’aspetta nel golfo!...

L’incrociatore aveva allora oltrepassata la zona luminosa e si rituffava nella nebbia. Scaricò un’ultima volta i suoi pezzi da caccia in direzione delle navi nemiche, che non potevano gareggiare con le sue macchine e sparve verso l’est, mentre i malesi ed i dayachi urlavano a squarciagola:

— Viva la Tigre della Malesia!...



XIII.


Il disastro della «Marianna».


Ancora una volta, la formidabile nave delle Tigri di Mompracem, costruita da quegli impareggiabili ingegneri americani, aveva giustificato il suo titolo d’invincibile ed a prova di scoglio.

Nonostante l’urto tremendo sopportato da quel terribile colpo di sperone, le sue macchine e la sua prora avevano meravigliosamente resistito ed il suo blindaggio aveva sopportato, senza sfasciarsi, quel grandinar furioso di tante artiglierie.

Usciva dalla battaglia quasi incolume, poichè, salvo poche ammaccature di nessuna importanza, i suoi robusti fianchi potevano subire ben altre prove. Tutto il danno si era limitato a quattro morti, quattro artiglieri mutilati dallo scoppio di una granata.

Il Re del Mare non aveva rallentata la sua marcia. Sandokan e Yanez, sapendosi ormai inseguiti e supponendo, non a torto, che