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il re del mare 229

l’intenzione di destituirvi e tanto meno d’impossessarci della vostra isola, signor Griel.

— E che cosa desiderate, dunque? — chiese il governatore con voce tremante.

— Gl’Inglesi hanno qui un piccolo deposito di carbone, è vero?

— È vero, ma non appartiene a noi, bensì al Governo della Gran Bretagna. Comprenderete quindi che io non posso toccarlo senza aver ricevuto l’ordine dell’Ammiragliato.

— Quell’ordine ve lo farò dare più tardi — rispose Yanez. — Per diritto di guerra quel carbone, che voi non potreste difendere, è nostro. Se poi vorrete evitare dei malanni, fra un’ora dovrete far portare qui anche dell’acqua dolce e dei viveri; passato il quale tempo i miei uomini procederanno alla distruzione delle vostre abitazioni e delle vostre piantagioni.

— Signore! — esclamò il povero governatore. — Io protesto contro questa violenza.

— Protesterete presso l’Ammiragliato che non ha pensato a mandare qui una squadra per difendervi — disse Yanez, con voce secca. — Orsù, attendo con l’orologio alla mano.

— È una pirateria!

— Chiamatela come volete, ciò non mi dà alcun fastidio. Che tutti si ritirino o i miei uomini faranno fuoco!

Quella minaccia, formulata in lingua inglese, ottenne un successo immediato. La popolazione, che già guardava in cagnesco i corsari, temendo una scarica, si era prontamente dispersa, rifugiandosi nelle case.

Solamente il governatore, per non perdere della sua dignità, si ritirò per ultimo, dopo aver chiamato a consiglio tre o quattro vecchi coloni, certamente i personaggi più influenti e più rispettati dell’isola.

Yanez, senza attendere le decisioni del governatore, si era diretto verso il deposito di carbone situato all’estremità della baia, sotto una vasta tettoia.

Ve n’erano per lo meno seicento tonnellate, provvista ragguardevole, ma il cui trasporto a bordo richiedeva molto tempo.

Furono rimandate a bordo le scialuppe per condurre a terra altri ottanta uomini di rinforzo ed il carico cominciò non ostante il pessimo tempo ed i furiosi acquazzoni che si succedevano di quarto in quarto d’ora.

Mentre i malesi ed i dayachi lavoravano febbrilmente, Yanez si era seduto sotto la tettoia con l’orologio in mano e la sigaretta fra le labbra, risoluto ad agire.