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196 | emilio salgari |
— Ne abbiamo salvati... basta, non affaticatevi.
— Grazie... — mormorò il ferito.
Poi s’abbandonò richiudendo gli occhi: era nuovamente svenuto.
— A voi, dottore — disse Sandokan.
— Non dubitate, signore, lo curerò come fosse vostro figlio. A me gli infermieri!
Mentre gli uomini richiesti entravano con disinfettanti, rotoli di cotone fenicato e numerose bottigliette, Sandokan rifece lentamente le scale, con Yanez e Tremal-Naik, rimontando in coperta.
Darma, che li aspettava sulla porta del quadro, s’appressò al portoghese.
— Signor Yanez — gli sussurrò, forzandosi di rendere la sua voce ferma.
Il portoghese la guardò per qualche istante senza rispondere, poi sorrise e le strinse silenziosamente la mano.
— Lo salveranno? — chiese Darma con angoscia.
— Lo spero — rispose Yanez. — T’interessa molto quel giovane, Darma?
— È un valoroso...
— Sì, e qualche cosa di più anche.
— Se guarirà, lo terrete prigioniero?
— Vedremo che cosa deciderà Sandokan; ma è probabile.
Darma raggiunse Surama che si era un po’ scostata, mentre Yanez s’accostava a Sandokan che stava parlando animatamente con Tremal-Naik.
— Che cosa ti pare di quel giovane? — gli chiese.
— È quello che comandava il forte di Macrae?
— Sì — risposero ad una voce Tremal-Naik e Yanez.
— Quell’uomo ha del fegato — disse Sandokan. — È stata una vera fortuna per noi a catturarlo. Se il rajah avesse una mezza dozzina di quei comandanti ci darebbero troppo da fare. Quello non deve essere un inglese puro sangue. È troppo bruno.
— Mi ha detto che sua madre sola era inglese — disse Tremal-Naik.
— Faceva parte della flotta anglo-indiana prima?
— Sì, come luogotenente, così mi disse una sera.
— Che cosa ne faremo di lui? — chiese Yanez.
— Lo terremo come ostaggio — rispose Sandokan. — Un giorno potrebbe esserci utile. In quanto agli altri prigionieri li farai