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178 emilio salgari

cia fumava. Il macchinista americano non aveva perduto il suo tempo a quanto pareva.

— Spingete in acqua la scialuppa — comandò Yanez.

Mentre quattro uomini eseguivano l’ordine, gli altri si erano disposti intorno al gruppo formato da Tremal-Naik, da Darma e dal capitano. Sambigliong anzi si era messo dietro a quest’ultimo.

Appena Yanez vide la scialuppa a galleggiare, s’accostò a sir Moreland che stava presso Darma e gli stese la mano, dicendogli:

— Fidatevi di me, capitano: io condurrò i prigionieri in salvo.

Nel medesimo tempo strinse la mano dell’anglo-indiano con tale forza da fargli scricchiolare le dita e da paralizzargli il braccio.

Mentre lo teneva afferrò a mezzo corpo il capitano e con un colpo solo l’atterrò.

Sir Moreland aveva mandato un grido di furore:

— Ah! Miserabili!

I pirati si erano precipitati su di lui e in meno che lo si dica gli avevano legato le mani dietro al dorso e l’avevano privato della sciabola e delle pistole che portava alla cintura.

Appena potè rimettersi in piedi, avendogli lasciate le gambe libere, fece atto di scagliarsi su Yanez che lo guardava, sorridendo silenziosamente.

— Che cosa significa questa aggressione? — gridò, pallido d’ira. — Chi siete voi?

Yanez si levò l’elmetto e salutandolo ironicamente, gli rispose:

— Ho l’onore di presentarvi i saluti del mio amico, la Tigre della Malesia.

— Chi siete voi?

— Yanez de Gomera, sir Moreland.

La sorpresa fu tale, che il giovane capitano fu per qualche istante incapace di pronunciare una parola.

— Yanez! — disse finalmente, guardandolo quasi con terrore. — Voi il compagno della Tigre della Malesia!

— Ho quest’onore — rispose il portoghese.

Il capitano girò lo sguardo verso Darma. La fanciulla non aveva mandato un grido, nè aveva fatto un gesto durante quell’improvviso attacco. Era rimasta immobile e silenziosa, a cinque passi dall’anglo-indiano, quantunque il suo pallore tradisse una certa angoscia.

— Uccidetemi dunque, se l’osate — disse rivolgendosi a Yanez.