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carta oliata, dove dinanzi ad una tavola diccamente imbandita si trovavano tre persone: un capitano di marina, Tremal-Naik e Darma.



II.


Un audace colpo di mano.


Vedendo entrare Yanez, in quel costume a cui non erano abituati, Tremal-Naik e la fanciulla si erano alzati di scatto con la bocca aperta pronti a mandare quel grido di sorpresa, naturale del resto, che l’audace portoghese tanto temeva. Uno sguardo fulmineo di lui lo arrestò a tempo sulle loro labbra.

Fortunatamente il capitano Moreland, che volgeva le spalle alla porta e al quale nell’alzarsi si era imbrogliata la correggia della sciabola nella spalliera della sedia, non aveva potuto sorprendere quello sguardo imperioso.

Fece mezzo giro su se stesso e squadrò il portoghese che aveva portata la destra sulla visiera dell’elmetto di sughero coperto di flanella bianca, salutando militarmente.

Il capitano era un bel giovane, di forse venticinque anni, di statura piuttosto alta e slanciata, con due occhi nerissimi, che parevano avessero dentro il fuoco, una barbetta nera che gli dava un aspetto fiero e, come aveva detto il sergente della barcaccia, aveva la pelle assai abbronzata. Si sarebbe detto che avesse nelle vene più sangue indiano o malese che europeo, malgrado la purezza dei suoi lineamenti che erano più caucasei che indù.

— Da dove venite, signor tenente? — gli chiese in purissima lingua inglese, dopo che lo ebbe ben guardato.

— Vengo da Kohong a portarvi dei viveri da parte di quel governatore. Non ne aspettavate, capitano?

— Sì, avevo fatto chiedere delle provviste che qui non si possono trovare.

— Delle bottiglie e dei prodotti europei?

— È vero — rispose il capitano, — ma non era necessario che per inviarmi ciò mi mandasse anche un ufficiale. Bastavano alcuni soldati.

— Non si fidava a comunicar loro le notizie che io sono incaricato di darvi a voce.