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Yanez, un po’ pallido per l’emozione, ma calmo, aveva puntato un cannocchiale verso ponente, mentre la nave correva come una rondine marina, lasciandosi dietro una interminabile scìa spumeggiante.

— Fumo all’orizzonte! — gridò ad un tratto il portoghese. — Vi sono delle navi a vapore laggiù. Sono navi inglesi, non ne dubito. Presto! Presto!

— Corriamo il pericolo di saltare, signor de Gomera. Non possiamo forzare di più le caldaie.

Un fumo biancastro, che la luce lunare mostrava perfettamente, si alzava verso Mompracem.

I colpi spesseggiavano. Si combatteva furiosamente in quella direzione.

Poi cominciarono a scorgersi i lampi delle artiglierie. Avvampavano su una vasta zona, come se un gran numero di navi combattessero.

— I nostri prahos! — urlò d’improvviso Yanez, staccando dall’occhio il cannocchiale. — La Tigre della Malesia s’allontana al nord. Maledetti! Ancora una volta gl’Inglesi ci hanno vinti!

L’americano gli aveva strappato di mano il cannocchiale.

— Sì, i prahos — disse poi — e cannoneggiati da cannoniere. Veleggiano al nord.

— Cannonieri! — gridò Yanez. — Pronti per il fuoco di bordata! Massacrate quelle navi!

Il Nebraska si avanzava rapido, in modo da frapporsi fra i velieri che fuggivano sempre sparando, con la Marianna di Sandokan in coda, che avvampava come un vulcano; e le piccole navi a vapore che li perseguitavano con scariche formidabili.

— Eccoci in pieno ballo — disse l’americano. — Giovanotti! Fuoco di bordata!



XVI.


La dichiarazione di guerra.


La flottiglia della Tigre della Malesia, pur fuggendo dinanzi al nemico, si batteva furiosamente, rispondendo vigorosamente con i quattro pezzi da caccia appostati sulla tolda della Marianna e le grosse spingarde dei prahos.