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122 | emilio salgari |
difesa nel caso che i dayachi fossero riusciti a scoprirli, essendo la macchia formata da durion dal tronco enorme che potevano benissimo proteggerli.
Ogni rumore era cessato. Non udivano più le grida degli inseguitori lanciati sulle loro tracce. Si erano fermati, non osando inoltrarsi sotto la foresta o s’avanzavano a passi da lupo per sorprenderli?
— Aspettiamoli qui — aveva detto Yanez. — Se hanno smarrite le nostre tracce le ritroveranno infallantemente e preferisco fucilarli fra questi colossi, piuttosto che ci piombino addosso in un altro luogo più scoperto. Se possiamo infliggere loro un’altra lezione, quelle mignatte ci lasceranno tranquilli fino a che non sarà passata l’ebrezza agli altri. È terribile una sbornia di bram, vero, Tremal-Naik?
— Dura almeno ventiquattr’ore — rispose l’indiano.
— Con un simile vantaggio giungeremo sulle rive del mare prima di loro.
— Purchè non scendano il Kabatuan con delle piroghe. Ecco il pericolo.
— È più breve la via del fiume?
— Di molto, Yanez.
— Bah! Se ci assalgono in mare, ci difenderemo. Tutto dipende dall’avere un paio di prahos.
— Ne troveremo, signor Yanez — disse Kammamuri. — Nel villaggio ove ne ho noleggiato uno per recarmi a Mompracem, ne ho veduti parecchi. Non avranno difficoltà, quei pescatori, a vendercene un paio.
Attesero più di un’ora entro la macchia, aspettando invano l’arrivo dei dayachi. Certi che avessero smarrite le loro tracce o che fossero tornati verso i loro accampamenti, decisero, dopo breve consiglio, di riprendere la marcia.
Collocarono la fanciulla ed i feriti nel centro della colonna e si addentrarono risolutamente nell’immensa foresta che Kammamuri asseriva estendersi quasi senza interruzione fino sulle rive del mare.
Tutta la notte proseguirono la marcia, sempre col timore di vedersi raggiungere dai tagliatori di teste; e allo spuntare del sole improvvisarono un accampamento sulla riva d’un fiumicello che doveva essere qualche affluente del Kabatuan.
Le loro apprensioni andavano a poco a poco calmandosi e co-