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fese verso le aie e le abitazioni dei servi, lasciando ai dayachi il passo libero e abbandonando loro il bengalow e le tettoie.

— Come! — esclamò Tremal-Naik. — Tu cederesti loro le nostre migliori opere di difesa?

— Non ci servirebbero più dal momento che abbiamo deciso di evacuare la piazza — rispose Yanez. — Anzi abbatteremo una parte della cinta che guarda la saracinesca per attirare meglio i dayachi.

— La palizzata interna non è molto solida.

— Mi basta che resista qualche ora e poi i dayachi non si affaticheranno ad abbatterla. Preferiranno bere il tuo bram — disse Yanez ridendo. — Noi collocheremo nel cortile tutti i vasi che contiene la tua cantina: e vedrai che quella barriera li arresterà meglio di qualunque altro.

— Si ubbriacheranno, ne sono certo.

— È quello che desidero, perchè noi ne approfitteremo per andarcene, dopo d’aver incendiato il bengalow e le tettoie. Protetti dalla barriera di fuoco, nessuno ci molesterà almeno per alcune ore.

— Tippo Sahib, il Napoleone dell’India, non sarebbe stato capace di architettare un simile piano.

— Quella non era una Tigre di Mompracem — disse Yanez con comica serietà.

— Cadranno nel laccio i dayachi?

— Non ne dubito. Appena si accorgeranno che la saracinesca è aperta e che le terrazze sono state abbandonate e disarmate, non indugeranno ad assalirci. Sotto gli arbusti spinosi non mancano delle spie, che si affretteranno ad avvertirli.

— A quando il colpo? — chiese Kammamuri.

— Tutto deve essere pronto per questa sera. Le tenebre ci sono necessarie per fuggire senza essere veduti.

— All’opera, Yanez — disse Tremal-Naik. — Io ho piena fiducia nel tuo piano.

— Hai un cavallo per Darma?

— Ne ho quattro e buoni.

— Va benone, faremo correre i dayachi fino alla costa. Quanto hai impiegato tu, Kammamuri, a raggiungerla?

— Tre giorni, signore.

— Cercheremo di arrivare prima. I villaggi di pescatori non mancano e qualche praho o delle scialuppe sapremo trovarle.

L’audace progetto fu subito comunicato ai difensori del kam-