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sturbati, almeno per quella notte, lasciavano la terrazza per raggiungere il maharatto.

L’uragano stava per calmarsi. La nera nube si era squarciata e attraverso uno strappo mostravasi la luna.

Solo in lontananza il tuono continuava a brontolare e si udiva il vento ululare sinistramente sotto le folte foreste che circondavano la pianura.

Trovarono Kammamuri nel salotto da pranzo, seduto dinanzi alla tavola, che divideva fraternamente un pollo arrostito con la tigre.

— È finita la battaglia, padrone? — chiese, rivolgendosi a Tremal-Naik.

— E spero che non avranno più desiderio di ritornare per qualche tempo — rispose l’indiano. — È la seconda sconfitta che subiscono.

— Quali nuove rechi da Mompracem? — chiese Yanez, sedendosi di fronte al maharatto. — Io sono stupito di averti veduto giungere senza una scorta. Gli uomini non mancano a Mompracem.

— È vero, signor Yanez, ma anche là sono non meno necessari di qui — rispose il maharatto.

Il portoghese e anche Tremal-Naik avevano fatto un gesto di stupore.

— Padrone, signor Yanez, io reco da Mompracem delle gravi notizie.

— Spiegati meglio — disse il portoghese. — Chi può minacciare il covo delle Tigri di Mompracem?

— Un nemico non meno misterioso del «pellegrino», appoggiato dagl’Inglesi di Labuan e dal nipote di James Brooke, il nuovo rajah di Sarawack.

Yanez aveva lasciato cadere un pugno così formidabile sul tavolo, da far traballare i bicchieri e le bottiglie.

— Anche Mompracem minacciata! — esclamò.

— Sì, signor Yanez, e la cosa è più grave di quello che possiate credere. Il governatore di Labuan ha notificato a Sandokan che deve prepararsi a sgombrare l’isola.

— La nostra Mompracem? E per quale motivo?

— Egli ha scritto alla Tigre che la presenza degli antichi pirati costituisce un pericolo permanente per la tranquillità e per lo sviluppo della colonia inglese; che l’isola è troppo vicina e troppo difesa; e che infine serve d’incoraggiamento ai pirati bornesi, i