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garde, un uomo si era slanciato sulla terrazza, muovendo rapidamente verso Yanez e Tremal-Naik.

Era anche quello un bel tipo di indiano di circa quarant’anni, meno alto di Tremal-Naik ed invece più membruto, dalla pelle abbronzata con certi riflessi dell’ottone, che spiccava vivamente sul suo vestito bianco, cogli occhi nerissimi e fieri ed i lineamenti fini ad un tempo ed energici.

Vedendolo, Yanez aveva mandato un grido di gioia:

— Kammamuri!

— Il mio bravo maharatto! — aveva esclamato dal canto suo Tremal-Naik.

— Arrivo troppo tardi — rispose il nuovo arrivato, — è vero?

— In tempo per vedere i talloni dei dayachi — rispose Tremal-Naik.

— Sei salito in questo momento? — chiese il portoghese.

— Sì, signor Yanez, ed è stato un vero miracolo se i vostri uomini non mi hanno ucciso. Mi arrampicavo sulla fune e proprio nel momento che tiravano una bordata di chiodi.

— Sei stato a Mompracem?

— Sì, signor Yanez.

— Dunque hai veduto la Tigre della Malesia?

— L’ho lasciata sette giorni or sono.

— Sei giunto solo?

— Solo, signor Yanez.

— Non hai condotto alcun rinforzo?

— No.

— Vai a rifocillarti, che devi essere stremato dalle privazioni. Fra poco noi saremo da te — disse Tremal-Naik. — Yanez, diamo gli ultimi colpi ai fuggiaschi e tu, Darma — gridò, volgendosi verso la tigre da lui chiamata, come sappiamo, con tal nome dato poi anche a sua figlia, — lascia quell’uomo e vattene in cucina.


XII.


L’orgia dei Dayachi.


Dieci minuti dopo Yanez e Tremal-Naik, assicuratisi che i dayachi avevano sgombrato anche la zona alberata e che tutti si erano ripiegati sui loro accampamenti; certi di non venire più di-