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98 | emilio salgari |
a porsi fuori di portata dalle armi da fuoco dei difensori del kampong ed a rifugiarsi nei loro accampamenti.
Invano i fucilieri avevano tentato di accorrere in aiuto delle colonne di assalto che si ripiegavano confusamente. Una bordata di mitraglia lanciata da tutte le spingarde li persuase a seguire i fuggiaschi.
Due minuti dopo intorno al kampong non restavano che i morti e qualche ferito che stava per esalare l’ultimo respiro.
XI.
I dayachi, convinti di non essere in grado di prendere d’assalto il kampong, dopo la disastrosa prova fatta e che aveva causato alle loro file delle perdite gravissime, avevano cominciato il vero assedio, sperando che la fame costringesse i difensori a capitolare.
Avevano formato intorno alla pianura quattro campi trincerati, per premunirsi da una possibile sortita degli assediati, rinforzandoli con trincee innalzate certamente dietro le istruzioni del «pellegrino» che si svelava ogni giorno più uomo di guerra.
Inoltre, avevano portate le loro artiglierie molto innanzi, scavando due trincee parallele, disturbando non poco gli assediati con un vivissimo cannoneggiamento che, se non causava veramente gravi danni, obbligava Yanez, Tremal-Naik ed i loro uomini ad una continua guardia, temendo che fosse sempre il preludio d’un nuovo assalto.
Cinque giorni erano così trascorsi, dal primo tentativo d’attacco, con gran spreco di munizioni da parte dei dayachi e molto fracasso. L’unico successo ottenuto era stata la demolizione della torricella che, essendo troppo esposta, era caduta pezzo per pezzo, obbligando i difensori a ritirare la spingarda e ad abbandonare quel posto.
Yanez cominciava ad annoiarsi. Uomo d’azione ed irrequieto, nonostante sembrasse l’uomo più flemmatico del mondo, trovava che la cosa andava troppo per le lunghe e che anche le sigarette, che consumava in quantità prodigiosa, non bastavano più a distrarlo.