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Nè potè essere questo ordine migliore, nè più prudente, nè maggior cagione di sicurtà del Re, e del Regno. Di che si può trarre un altro notabile, che li Principi debbono le cose di carico fare sumministrare ad altri, e quelle di grazie a lor medesimi. Di nuovo conchiudo, che un Principe debbe stimare i grandi, ma non si far odiare dal popolo.

Parrebbe forse a molti, che, considerata la vita e morte di molti Imperatori Romani, fussono esempi contrarii a questa mia opinione, trovando alcuno esser vissuto sempre egregiamente, e mostro grande virtù d’animo, nondimeno aver perso l’imperio, ovvero essere stato morto da’ suoi che gli hanno congiurato contro. Volendo adunque rispondere a queste obiezioni, discorrerò le qualità di alcuni Imperatori, mostrando la cagione della lor rovina, non disforme da quello che da me si è addutto; e parte metterò in considerazione quelle cose che sono notabili a chi legge le azioni di quelli tempi. E voglio mi basti pigliare tutti quelli Imperatori, che succederono nell’Imperio da Marco Filosofo a Massimino, li quali furono Marco, Commodo suo figliuolo, Pertinace, Iuliano, Severo, Antonino, Caracalla suo figliuolo, Macrino, Eliogabalo, Alessandro, e Massimino. Ed è prima da notare, che dove negli altri Principi si ha solo a contendere con l’ambizione de’ grandi e insolenza de’ popoli, gl’Imperatori Romani avevano una terza difficultà, d’avere a sopportare la crudeltà ed avarizia de’ soldati; la qual cosa era sì difficile, che la fu cagione della rovina di molti, sendo difficile satisfare a’ soldati ed a’ popoli; perchè i populi amano la quiete, e per questo amano i Principi modesti, e li soldati amano il Principe d’animo militare, e che sia insolente, e