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te un corpo, ed essendo trovate e pagate da te, nelle quali un terzo che tu facci capo, non può pigliare subito tanta autorità che ti offenda. Insomma nelle mercenarie è più pericolosa la ignavia, nelle ausiliarie la virtù. Un Principe pertanto savio sempre ha fuggito queste arme, e voltosi alle proprie, e ha voluto piuttosto perdere con le sue, che vincere con l’altrui, giudicando non vera vittoria quella che con l’armi d’altri si acquistasse. Io non dubiterò mai di allegare Cesare Borgia, e le sue azioni.

Questo Duca entrò in Romagna con le armi ausiliarie, conducendovi tutte genti Francesi, e con quelle prese Imola e Furlì; ma, non li parendo poi tali arme sicure, si volse alle mercenarie, giudicando in quelle manco pericolo, e soldò gli Orsini e Vitelli; le quali poi nel maneggiare trovando dubbie, infedeli, e pericolose, le spense e volsesi alle proprie. E puossi facilmente vedere che differenza sia tra l’una e l’altra di queste armi, considerato che differenza fu dalla riputazione del Duca quando aveva gli Orsini e Vitelli, e quando rimase con gli soldati suoi, e sopra di sè stesso, e si troverà sempre accresciuta; nè mai fu stimato assai, se non quando ciascuno vide che egli era intero possessore delle sue armi. Io non mi volevo partire dagli esempi Italiani e freschi: pure non voglio lasciare indietro Ierone Siracusano, essendo uno de’ sopra nominati da me. Costui, come di già dissi, fatto dalli Siracusani capo degli eserciti, cognobbe subito quella milizia mercenaria non essere utile, per essere conduttori fatti come li nostri Italiani, e parendoli non gli potere tenere nè lasciare, gli fece tutti tagliare a pezzi; dipoi fece guerra con l’armi sue, e non con l’altrui. Voglio ancora ridurre a memoria una