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Nè d’etá nè di grado nè di legge;
Non frèno di vergogna, non rispetto
Nè d’amor nè di sangue, non memoria
Di ricevuto ben; nè, finalménte,
Cosa sí venerabile o sí santa
O sí giusta esser può, ch’a quella vasta
Cupidigia d’onori, a quella ingorda
Fama d’avere, invlfolabil sia.
Or io, ch’incauto e di lor arti ignaro
Sempre mi vissi, e portai scritto in fronte
Il mio pensiero, e disvelato il core,
Tu puoi pensar s’a non sospetti strali
D’invida gente fui scoperto segno.
URANIO.
Or chi dirá d’esser felice in
terra,
Se tanto alla virtú noce l’invidia?
CARINO.
Uranio mio, se da quel dí che meco
Passò la musa mia d’Elide in Argo,
Avessi avuto di cantar tant’agio
Quanta cagion di lagrimar sempr’ebbi, •
Con sí sublime stil forse cantato
Avrei del mio signor l’armi e gli onori,
Ch’or non avria della meonia tromba
Da invidiar Achille; e la mia patria,