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Della mia cara chioma che rapita
M’ha quel brutto villano, e coni’ io possa
Ricoverarla. Oh quanto mi fu grave
D’avermi a riscattar con sí gran prezzo,
E con sí caro pegno! ma fu forza
Uscir di man dell’indiscreta bestia;
Chè quantunque egli sia piú d’un coniglio
Pusillanimo assai, m’avria potuto
Far nondimeno mille oltraggi, e mille
Fiere vergogne. Io l’ho schernito sempre;
E finché sangue ha nelle vene avuto,
Come sansuga l’ho succhiato: or duolsi
Che piú non l’ami; e di dolersi avrebbe
Giusta cagion, se mai l’avessi amato.
Amar cosa inamabile non puossi.
Com’erba che fu dianzi, a chi la colse
Per uso salutifero, sí cara,
Poiché ’l succo n’è tratto, inutil resta,
E come cosa fracida s’abborre;
Cosí costui, poiché spremuto ho quanto
Era di buono in lui, che far ne debbo,
Se non gettarne il fracidume al ciacco?
Or vo’ veder se Coridone è sceso
Ancor nella spelonca. Oh, che fia questo?
Che novitá vegg’io? son desta, o sogno V