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Malvagia e perfidissima Corisca,
Qui per mio danno sol, cred’io, venuta
Dalle contrade scellerate d’Argo,
Ove lussuria fa l’ultima prova.
Ma sí ben fingi, e sí sagace e scorta
Se’ nel celar altrui l’opre e i pensieri,
Che tra le piú pudiche oggi ten vai
Del nome indegno d’onestate altera.
Oh quanti affanni ho sostenuti! oh quanto
Per questa cruda indignitá sofferte!
Ben me ne pento, anzi vergogno. Impara
Dalle mie pene, o malaccorto amante:
Non far idolo un volto, ed a me credi:
Donna adorata un nume è dell’Inferno:
Di sè tutto presume e del suo volto
Sovra te che l’inchini; e quasi Dea
Come cosa mortai ti sdegna e schiva:
Che d’esser tal per suo valor si vanta,
Qual tu per tua viltá la fingi ed orni.
Che tanta servitú? che tanti preghi,
Tanti pianti e sospiri? Usin quest’armi
Le femmine e i fanciulli: i nostri petti
Sien anche nell’amar virili e forti.
Un tempo aneli’ io credei che sospirando,
E piangendo, e pregando, in cor di donna