zata la penna e la lingua che non pare che d’altro sappia ragionare e scrivere se non contro de’ frati, li quali affermano la maggior parte essere osservanti de loro regole, e se alcuno scellerato ce ne fosse, il numero de’ buoni perfidiano che è infinito. E come che da li già detti ipocriti mormoratori io non vorrei esser lodato, nondimeno basta loro per eterna risposta, che le manifeste sceleragini ogni di adoperate universalmente per li malvagi religiosi, e con nuove arti e con diversi ingegni, approvano de continuo la mia verità. E da coloro che sono del vero e della onestà amici e conoscitori sarà il mio dire con perpetue laudi commendato. Occorremi dunque, gratiosissimo Signore mio, a tal proposito dire che quantunque più facilmente tra cento soldati se ne trovarebbeno la metà buoni, che tra tutto un capitolo de frati ne fosse uno senza bruttissima macchia; nondimeno quando ben fosse lo numero de' buoni maggiore che de’ cattivi, ne seguirebbe non minore inconveniente, siccome adviene nelle perigliose battaglie nelle quali maggior detrimento rende un vile codardo che non fanno utile dieci animosi. Non altramente avverrebbe a li miseri secolari, li quali più che non fa bisogno a loro falsità prestano fede; che più ruina vergogna e danno ce porgerla la pratica e conversatione di uno scelesto occulto e ribaldo frate, che da la perfezione di cento buoni ne traessino comodità alcuna. Contro a li quali non me pare per loro degno ed eterno castigo che sia altro da dire, se non che Iddio possa presto distruere il Purgatorio, a tale che non possendo de elemosina vivere andassero a la zappa, onde la maggior parte di loro hanno già contratta la origine.