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dizioni antiche sono tutti ricordati nelle nostre storie, e conosciuti: degli altri non ho potuto avere alcuna notizia. Io sospetto che quel L. Paolo Rosello che corresse la sesta edizione 1510, e la settima 1522 Venezia, abbia fatto anche questo mutamento, e togliendo le novelle agli antichi, e al Petrucci, che forse ei non sapeva chi fosse, le volle intitolare, due a Fabiano Rosello, una ad Anastasio Rosello, ed altre a suoi amici. Nell’edizione del 1535, che è nella Nazionale di Firenze il mutamento è già fatto. Ho voluto chiarire questo punto, che avrebbe potuto offendere il carattere di Masuccio.

Il Novellino si può dire la sola scrittura in prosa italiana di una certa ampiezza ed importanza letteraria che apparisce nel Quattrocento. Io lo presento come un antico monumento di storia, di arte, di lingua; e non dico ai lettori di volergli il bene che gli voglio io che ci ho lavorato attorno, ma di leggerlo senza preoccupazioni di animo. Lo scomunicarono, ora bisogna ribenedirlo; lo fecero dimenticare, ora bisogna ricordarlo e non senza lode. E se nessuno finora si è scandalezzato che alcuni uomini anche timorati per amore dell’arte e della lingua abbiano studiato il Decamerone del Boccaccio, credo che nessuno si vorrà scandalezzare che io ristampo il Novellino; ma se alcuno vorrà pigliarne scandalo, non me ne importa nulla.

Il Novellino, il Codice Aragonese e l’Esopo del Tuppo debbono avere una certa importanza nella