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conte Francesco Sforza, non ancora Duca di Milano divenuto, la Marca d’Ancona signoreggiava, furono nella soa fiorita Compagnia doi omini d’arme, l'uno chiamato Marchetto da Faenza, e l’altro Lanzilao da Vercelli, ciascuno de loro animoso e gagliardo a maraveglia, e virtuosi giovini, leggiadri e acconci quanto dire se potesse. El che per esserne in una compagnia medesima allevati, nacque tra loro una amistà sì grande e continua, che, come è già de’ soldati costume, se affratellarno insieme e in vita e in morte con perfetto amore che non solo l’arme i cavalli e ogni altra loro facultà aveano tra essi comunicata, ma ad ogni uno pareva aver l’anima del compagno dentro il corpo con la sua insieme unita. E in tale giocondissimo stato più anni, sempre in onore fama e roba augmentando, dimorando, e in maniera la loro unione era sopra tanto amore e carità fabbricata, che nè desiderio de stato, nè cupidità de roba, nè ambitione de fama o gloria avrebbe bastato a guastare pure in alcuno atto tanta amicitia e fraternità, se la maestra de tutte le cose Fortuna con le insidie e sottili vie d’amore nei loro petti non fosse entrata; però che con nova maniera de atrocissimo veneno tutti doi con una medesima fiamma riscaldando, ogni altro fatto riparo vinse e buttò per terra. Essendo dunque costoro da li bellicosi esercitii nella città di Fano alle stantie redotti, accadde che el signore Malatesta fè bandire un torniamento in Arimino, nel quale andando de molti e diversi armigeri, tra’ quali furono i doi fratelli Marchetto e Lanzilao, de cavalli, de paramenti e de famigli più che li altri accompagnati; e col terminato numero degli altri al torniamento entrati, tanto fu