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servata da altri, e forse anche rappresentata, ma così no, e nel così è il pregio e l’originalità ancora.
Lasciando adunque sì fatte quistioni oziose, bisogna considerare il Novellino come opera d’arte. Il carattere proprio del libro è questo, che esso è tutto napoletano, e del tempo aragonese; e di qualunque cosa vi parla, anche antica e lontana, ve ne parla come allora si soleva in Napoli. Nessun altro italiano avrebbe raccontata la novella del Barbarossa nel modo che la racconta Masuccio, il quale non vede in lui il gran nemico dei comuni lombardi, ma il sacro imperatore, il cavaliere cristiano che dà in pegno del suo riscatto il corpo di Cristo al Soldano; e nei vituperii che dice del Papa si scorge non pure l’onesto cristiano che si sdegna contro colui che guasta con le opere la religione, ma l’uomo aragonese avverso al Papa che voleva distruggere il regno ed infeudarlo a la Chiesa. Dal Mille in poi tutti gl’italiani del mezzogiorno ordinati a regno, ritennero sempre nella coscienza il sentimento del regno, e si opposero ad ogni invasione temporale della Chiesa, quantunque fossero religiosi, e taluni anche superstiziosi: vogliono cangiar padroni, chiamano anche forestieri al trono, ma distruggere il regno, e farne un feudo della Chiesa, no. Masuccio ha questo sentimento del regno, e morde i finti religiosi perchè gli offendono anche questo suo sentimento, gli sono anche nemici politici: se fossero buoni e non si curassero delle cose di questo mondo che loro non appartengono, oh ei li terrebbe per santi.