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letto, e vedendo colui che era nero, nè sospettando d’altra cosa, ammorzato il lume gli si colcò da lato; e lei medesima come già usata era cominciò a svegliare l’addormita bestia. Il misero amante vedendosi a sì fatti termini che gli dolea insino al cuore usar quello che unicamente avea desiderato, e cognoscendo che l’angoscia di amante gli avea sì le corporali forze indebolite che con difficoltà grandissima l’aspettato fine avria potuto ad effetto mandare, fu più volte vicino a palesarsi, e con infinite ingiurie tale sua inaudita scelleragine rimordere; doppo più tritamente pensando estimò che niuna satisfattone gli sarebbe stato a non dare a tal fatto con opera compimento, e poscia lasciarla schernita dolente e trista, e deliberò del tutto sforzare la sua dal dolore e sdegno infreddata natura, e con tale nuova maniera di castigo vendicare non solo sè ma quanti da lei per addietro erano stati uccellati e beffati; e così con difficoltà non piccola, ancora che più volte avesse la lancia perduta, formò la prima e l’ultima carriera. La quale fornita, senza suo fiero sdegno essere scemato, in tal modo le cominciò a dire: Deh, pazza, insensata, ribalda, temeraria, e prosuntuosa bestia, ove sono le tue tante apparecchiate bellezze? ove sono li tuoi contegni, credendoti essere sopra ogni altra bella, e con la ricchezza insieme in superbia a te parea con la cresta toccare il cielo? ove sono le infestanti caterve dei tuoi amanti i quali ogni dì schernendo, pascevi di folli speranze? ove è la tua matta prosuntione con la quale cercavi d’avermi per sposo? quali carni mi volevi dare a godere, quelle che avevi date per conveniente pasto al nero corbacchione, al fetido bastaso, al fiero