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NOVELLA XXIII.




ARGOMENTO.


Una donna vedova s’innamora del figliuolo, e sotto grandissimo inganno si fa da lui carnalmente conoscere; dopo ingravidata, con arte scopre la verità al figliuolo, il quale sdegnatosi del fatto se ne va in esilio: il fatto si divulga, e la madre dopo il parto è dal Podestà bruciata.


AL MAGNIFICO MARINO BRANCACCIO1.


ESORDIO.


Se dalle leggi della natura e laudevoli costumi sono le nefande umane operationi condannate, non dubito che tu, nobile e strenuo partenopeo, come a virtuosissimo per approbato dannerai un detestando e più diabolico che umano appetito adempito per una empia ribalda madre nell’ingannare l’innocente figliuolo. Leggerailo adunque con la solita prudenza: per il che mi persuado che tale abbominatione per la mente rivolgendoti, niuna loro strana scelleragi-

  1. Marino Brancaccio, secondo l'Albino, fu vir magno consilio, et in primis ab rege habitus. Armigero di re Ferdinando nel 1463: consigliere e governatore di Monteleone e di Bivona nel 1484; condottiere di cavalli leggieri nel 1485; maestro ragioniere della zecca del 1486; fu tra coloro che sottoscrissero l’atto di abdicazione di re Alfonso II nel 27 gennaio 1495. Fu Conte di Noia e di altre terre. Ebbe molti ufficii, come si legge nel Codice Aragonese. Mori nel 1497. Nell’ed. della gatta questa novella è intitolata, al magnifico messer Anastasio Rossello Aretino, cavaliere e barone reale; che è ignoto.