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sole autunnale, la grande quiete del mezzogiorno, il suono della campana che commoveva la mia fanciullezza immaginosa, entrano per le finestre aperte in questa camera dove dormirono i miei venerati genitori e ch’io scelsi per camera mia nuziale, per camera nuziale della morte. Dio mio, l’abito nuziale di Violet non è qui, i miei amici Steele sanno dov’è; ma la sua piccola toque da viaggio, il grazioso costume che portò nelle ultime ore, la semplice veste bianca ch’ella aveva a Rüdesheim quando la strinsi per la prima volta nelle mie braccia, pendono qui dall’attaccapanni. Il suo fazzoletto colle cifre di sposa, i guanti, l’orologio, il ventaglio di marocchino, i braccialetti e gli anelli sono sul marmo del cassettone col nastrino di velluto nero in cui sento e bacio ancora il tepore fragrante del suo collo. Sul letto il suo guanciale porta la sua cifra e il suo tavolino da notte porta i suoi prediletti sonetti di Shakespeare, la sua Imitazione legata in avorio; un lume di bronzo donatole dalla signora Emma, un ritrattino in miniatura di sua madre fatto da suo padre e ch’ella portava sempre con sè. Sulla scrivania, fra le carte odorate di mughetto, odore