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392 il mistero del poeta


Violet non s’era accorta di nulla. Si levò il cappello e i guanti e poichè la lucernetta del coupè aveva il paralume e noi eravamo nell’ombra, mi appoggiò il capo alla spalla e abbandonò le sue mani nelle mie. Poco a poco se le trasse sul cuore, sorridendo, guardando se i nostri compagni non l’osservassero e mi disse sottovoce quando il treno correva già forte:

Io sento il suo cuore
Che batte che batte,
Le voci sue rotte
Che dicono «vieni
Cedo, vieni, vieni.»

Io tacevo; le baciavo piano piano e lungamente i capelli, respiravo il suo amore, il suo pensiero e il suo corpo.

Viaggiavamo forse da venti minuti quando il treno rallentò la corsa e si fermò. Nè si udirono voci, nè si apersero sportelli; guardammo fuori; eravamo fermi nella campagna deserta in riva al Reno scuro e rumoreggiante, a poca distanza da Erlach, credo. Uno dei nostri compagni si scosse, parlò ad un conduttore che passava; questi rispose e della sua risposta intesi solo fünf Minuten,