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382 | il mistero del poeta |
l’amico Steele per le partecipazioni ufficiali a stampa da spedirsi più tardi, appena fossero pronte. Alzando qualche volta il viso a pensare, a raccapezzar qualche nome mezzo uscitomi dalla memoria, vedevo dalla finestra i lumi di Bingen, mi assaliva l’immagine di quell’uomo che voleva parlarmi. Dio mio, indovinavo ciò che avrebbe voluto dirmi, e la sola possibilità di udirlo mi metteva una irritazione terribile. Perchè si ostinava egli mai? Intendeva forse di riprendere Violet a forza, di averne il diritto? Era tanto pazzo da venire a dirmelo?
Mi parlavo così fremendo e almanaccavo dove l’uomo potesse essere in quel punto, se a passeggiar sotto i lontani fanali o forse a vigilare sotto le mie finestre, o fors’anche a spiar sospettoso e appassionato la stessa dimora di Violet. Allora il cuore mi batteva di collera. Poi rimproveravo la mia immaginazione, mi chetavo, tornavo a scrivere. Verso le undici feci portare il mio bagaglio alla stazione e lasciai l’albergo.
Non vi erano stelle nè luna e nelle vie silenziose di Rüdesheim faceva tanto buio che non potevo assolutamente vedere se qualcuno