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il mistero del poeta 325

Dal nostro sedile ci vedevamo a piedi la valle chiusa del Neckar, e di fronte ancora lontano, sopra un’altra sporgenza della costa, il vecchio Schloss, con le sue torri enormi in rovina, sommerso nel verde. Bianche nuvole passavano allora sul sole, un’aria molle ci ventava in viso. La via era deserta, ci sentivamo più soli che a Geisenheim; Violet mi abbandonò la sua mano, e le parlai del primo tocco delle nostre mani a Belvedere, della mia gioia di quell’istante.

— Adesso non senti più così — disse Violet. — Sei troppo avvezzo ad avere la mia mano. — Devi tornare come a Belvedere — soggiunse togliendomela.

Ella si mise a scherzare con una civetteria, con una grazia indescrivibile. Adesso aveva sovente di questi momenti deliziosi in cui mi pareva un’altra Violet, una tale Violet che non avrei mai creduto potesse esistere, che mi faceva quasi impazzare d’amore e insieme di terror geloso. Ah se mai si mostrasse ad altri così! Fui per serrarla nelle mie braccia ed ella se ne avvide, si sgomentò alla sua volta, tornò seria e tranquilla, e mi susurrò poi che non sapevo