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XXXVI.


Una sera, al tramonto, Violet e io eravamo seduti sotto il tiglio di Geisenheim, mentre la signora Steele faceva una visita nella villa Monrepos. Ricordo il gran tiglio, vecchio di quattro secoli, la vicina chiesa con le sue torri medioevali, le villette posate tra i fiori, tra il cicaleccio degli zampilli e degli uccelli, la dolcezza della luce e dell’ora, un odor di glicine in fiore. Per via si era conversato di cose indifferenti. Appena partita la nostra compagna, Violet mi aveva detto «mi ami?» I miei occhi, non le mie labbra, avevano risposto e non s’era parlato più, se non col silenzio stesso, pieno di passione.

— Com’è dolce, qui! — diss’ella a un tratto.