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260 | il mistero del poeta |
noi, tempestò con me, tempestò con l’altro, afferrandoci per le braccia, gridando a me ch’ero un uomo indegno se non credevo al cuore più leale del mondo, gridando a lui ch’era uno stupido, due, quattro, dieci, cento volte stupido. A misura che ci placavamo noi, si rabboniva lui pure, scendeva a meno bollenti rimproveri, a parole mansuete, a scuse. Finalmente mi stese la mano, abbracciò suo fratello, e poi andava per la camera fregandosi le mani, borbottandosi tutto accigliato, ma con un accento di soddisfazione profondo: — siamo tre galantuomini, siamo tre galantuomini.
Me n’andai subito ed egli mi volle accompagnare sino a piedi della scala: — Lei è andato in collera — diss’egli nel lasciarmi — ma mio fratello è più che un santo. Io, al suo posto, o mi sarei fatto ammazzare o avrei ammazzato Lei. Questi sono spropositi, ma insomma, capisce! Domani me lo porto via, me lo porto nello Schwarzwald. Là lo guarisco. Ci ho già la sposa pronta. Altro genere!
Qui Topler, spingendo i gomiti in fuori e arrotondandosi il cavo delle mani sul petto, fece