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156 il mistero del poeta

Così rimasi solo, per un momento, con miss Yves.

Ella, pallidissima, si diede subito a chiamare la signora Treuberg con la sua voce soave che moriva a due passi.

— Violet — diss’io. Non aggiunsi altro, ma forse non avrei potuto dir niente di più appassionato e umile. Ella mi guardò, malgrado sè stessa, un istante. Pareva uno sguardo severo, ma v’era bene in fondo l’amore. Gli occhi miei ne dovettero brillare, perchè si affrettò a dirmi:

— Quello che fa, Le pare leale?

Una luce mi balenò in mente e risposi con impeto:

— Lo dirò.

— Dio, no! — diss’ella.

Non fu possibile parlare, ma io ero felice della mia e della sua risposta. Era un’acuta dolcezza di sentirsi supplicare da lei con tanta angoscia, di sentir che non si teneva sicura del suo proposito, dell’avvenire.

Ci raccogliemmo per la colazione a pochi passi dal viottolo, presso una tonda macchia di sole che brillava sull’erba tra la corona dei faggi