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116 | il mistero del poeta |
Ella si voltò di slancio a me ch’ero già allo sportello. Le presi ambo le mani; per alcuni istanti non fummo in grado di proferir parola, nè lei, nè io. Faceva scuro, ma eravamo così vicini ch’io potei vederle negli occhi e sulla fronte la stessa improvvisa passione cupa di quel felice momento in cui, letti per la prima volta i versi dell’amore e della morte, mi aveva guardato in silenzio. Ella gittò quindi un’occhiata al cocchiere, ritirò le mani rapidamente.
— Qui? — mormorò in italiano — Come è qui?
— Lo domanda? — risposi. — Come mai lo può domandare? Vengo da Napoli.
— Oh viene da Napoli! — esclamò in tedesco. — Bravo! Si ferma? Oh! — soggiunse, stavolta, in italiano e nel tono di prima. — Non doveva venire! Dio mio, perchè è venuto?
Tacque un istante e poi mi chiamò sottovoce, deliziosamente, per nome; ebbe ancora come un sussulto, uno slancio represso di tutta la persona verso di me.
— Addio! — riprese. — Non posso più restar qui e non la posso rivedere. Hanno anche avuto sospetti per le lettere.