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IL MARZOCCO Ai nostri abbonati pel 1904. 11 Marzocco, che sta per entrare nel suo IX anno di vita, si propone di perseguire nel 1904 la felice evoluzione che deve renderlo sempre più accetto e più grattilo ad una cerchia di lettori sempre più ampia e varia. Delle innovazioni abbiamo già dato saggi che ottennero il plauso ambitissimo del pubblico: dai numeri di SEI PAGINE che si pubblicheranno ogni volta che se ne presenti la propizia occasione ai DISEGNI ORIGINALI che col sistema seguito dai più famosi giornali francesi, riassumeranno in un’immagine quanto potrebbe venir detto in un articolo critico. K non basta: altri disegni confidiamo di poter offrire ai nostri lettori e saranno composizioni firmate da nomi illustri nelle arti, opere eioò di pura bellezza che si alterneranno con le squisite primizie letterarie a cui abbiamo ormai abituati i nostri lettori. Oltre ciò, fra gli associati più solleciti, fra coloro cioè che ci rimetteranno l’importo dell’abbonamento annuale prima del 15 gennaio prossimo, sorteggeremo. in ragione di un premio per ogni diciotto abbonati, le deliziose Tanagre policrome di cui diamo in 6* pagina la riproduzione. Malgrado questo, lasciamo inalterato il prezzo d’abbonamento pel Regno, effettuando soltanto un lieve aumento nei prezzi per l’Estero. Vaglia e cartoline all’Amministrazione del “ Marzocco „ Via S. Egidio 16, Firenze. Condizioni d’abbonamento per l’anno 1904: Anno Semestre Trimestre l*en V Italici,... Tj. 5.00 3.00 T. 2.00 Ver V Estollo....» 10.00» 6.00» 4.00 SI PUBBLICA LA DOMENICA Dir,: A DO LEO OVVI E TO Abbonamento dal i° d’ogni mese — Un numero separato Cent. IO. Per oli abbonati che concorrono ai fatemi basta che /’indicazione della Sene e del Numero da posta in una sola /ascia, tenendone P sin/min is trazione nota in appositi registri. Ultimo giorno per concorrere ai premi 16 GENNAIO. Anno Vili, N. ja. a; Dicembre 1903. Firmar. SOMMARIO Le nuove «Laudi >, G. S. GaroAno — Tipi ohe eparleoono. // Signor Licnrgp. Renato Fucini — Uomini, uomini; donne, donno, Nkkkà Reccontl o novelle, /tosto#*#. Citati. Masseit VaUarenghi. Delta % De Iteriti, Kos» tétti ruèimè". <**.•’, Gttmt’rrt: — € Siberia», Ettore Momchi.no Eugenio Oeooonl, Ma iii.i» Hàktolommbi-Gioli - Mar fflnalla: La discussione su/ bilancia detto /W* Mica Istruzione • Ancora it Palazzo Farnese • «La vita Moderna nell’arte» di AL Marasso •!m Duse alta Pergola • «/.’ Islamismo * e to * Lette• r a turo amba * — Notizie Bibliografie.

LE NUOVE «LAUDI.» Bene s’adJice a questo secondo volume il titolo clic coronn di tinta la sua ampiezza c di tutto il suo fascino la nuova opera lirica di Gabriele d’Anntinzio. Il ciclo il mare la terra e gli croi parlano nelle pagine meravigliose dell’instancabile c dell’inquieto poeta con la voce profonda c misteriosa che scende dalle cime inaccessibili delle alpi, che freme nei cupi abissi del mare, che geme insiemi! con la linfa entro le libre vegetali, che palpita sotto l’interminato azzurro, c rimbomba nei sepolcri d’oltre il mistero della morte. Un sentimento punico pervade tutta la nostra anima u lettura finita. L’uomo e le cose non Manno più di fronte estranei c incoiliprcnsibili a vicenda: noi abbiamo sentito clic la potenza elio ha generato tutte lo forino è una sola, e II canto del poeta desta nel nostro spirito violenti sussulti.li questa unica forzi* primigenia sopita nello voragini del nostro spirito, già da lungo tempo mimo moro di echi. Cosf por il nuovo messaggio gli eroi celebrati ci appaiono della «tessa natura rupestre di quello montagne «sacre scaturigini delle Forze puro:» e l’uomo può sentir correre in sé stesso «la fluida vita dell’orbe.» Meravigliosa potenza della poesia, che ci conduce d‘ un trailo presso allo sorgenti della verità. L’urto di Gabriele.l’Annunzio non aveva per l’addietro toccato vertice più alto. O ch’egli aduni tutte lo cuorgic del suo spirito ad invocato l’aspettato della nuova Italia, o che ridesti dai sepolcri le intime tutelari degli eroi di nostra gente, e susciti la vita entro le mura delle città che fiorirono un giorno di libera vita, o lo cui vie sono oggi come lastro di cimiteri, sempre ha questo immenso potere di svegliare e di turbare le nostre coscienze. Il secondo libro, con cui s’apro il nuovo volume o che a* intitola alla seconda delle Pleiadi, ad Elettra, contiene i canti che già videro, quasi tutti, In luce: sono le augurali invocazioni a Dante ed a Roma c l’esaltazione patriottica dei Bronzetti e dei Mille, l’apoteosi di Giovanni Segantini c di Giuseppe Verdi, di Vincenzo Bellini e di Vittore Hugo,:■ quella Ad//. di Caprera, la più pura rappresentazione della grandezza eroica, fatta insieme d’impeti disti uggitoti e d’una iwevtt* infamile, fc ‘poi, a tutto questo turbinio violento, di pensieri e di immagini, ili rimproveri fieri e di aspettazioni intense, espresse in quel metro libero che rispecchia cosf bene il ritmo agitato dell’animo del poeta, tien dietro, serena nella visione, potente nell’evocazione e composta nella rigida regolarità del sonetto, la teoria muta delle città italiane che videro splendere nel passato il sangue delle loro guerre violente, il fasto della loro ricchezza e la luce della loro arte. Oh come è triste il loro silenzio e come è piena di rimpianto la loro solitudine! Eppur conte esse si avvivano al passaggio del poeta che suscita col suo piede gli echi del passata! lisse bau riconosciuto un loro tiglio nel nuovo passante, rinato e sperduto in mezzo a questa nuova ma non ancor rinnovellati» Italia, esse sanno che l’anima sua serba ancor la memoria di quella antica vita clic egli ha già vissuto un tempo, e clic cerca fra i suoi contemporanei d’oggi coloro che furono i suoi contemporanei d’altri secoli. Perugia gli da la improvvisa rivelazione Muscliia Pcrosda, il tuo («rifon che rampa in cor m’entrò col rostro e con l’artiglio onde tulio il mio sangue nero e vermiglio delle immortali lue vendette avvampa. Certo segnato fui della tua stampa un di, tra ferro e luoco io fui tuo figlio: ancor vivo, ipi.il fi-ccmi il Itunliglio l.’i sul ntuio ove Totlla a’nccampa. K questa è la gran forza clic hanno oggi i canti di Gabriele d’Anmtnzio: è quest’anima italica elicgli sente fremere dentro di se clic lo rende eccitatore di energie agli altri italiani, che fa splendere nel suo lucido verso i lucidi destini della nostra terra pur fra la nera nuvolaglia che ancora s’addensa sul suo cielo. Coni veda tu un giorno il nrnre latino coprirsi di strage alla tua guerra e per le tue corone piegarsi i tuoi lauri e I tuoi mirti, o Sempre rinascente, o fiore di tutte ie atlrpi, aroma di tutta la terra, tulio, Italia, sacra alla nuovn Amori. Con l’aratro e la prora! Che cosa sia il terzo libro intitolato ad Alcione io non saprei definirò con una formula precisa. 1.’ incanto che da esso emana è di una potenza singolare fatta tutta di mistero. Il poeta ha radunate in questa parto delle sue Laudi tutte le impressioni che la sua anima ha accolto in cospotto delle cose, naturati: della campagna arsa dal sole, delle acque scrosciatili o limpidamente correnti, dell’ombra e del mistero dei boschi, della profondità del mare e dell’immensità del ciclo. Tutto è qui regolare. Coloro clic non si compiacquero del Patteggiamento che il poeta aveva preso in quel suo nuovo ritmo che pulsava all’unisono con un suo ritmo interiore, non avranno da rimpiangere alcuna cosa nei canti compresi in questo suo terzo libro di Laudi. Ogni metro tradizionale, si può dire, è qui ritentato con una sapienza straordinaria, o rinnovato con una originalità senza pari, dal sonetto al ditirambo, dalla canzone al madrigale e alla ballata, dalla terza alla nona rima. È una musica che suona con un incanto vittorioso per tutto il nostro spirito, una melodia «he si rinnovella e che varia sempre con una ricchezza inesauribile. Non c’è vera c propria unità di disegno, ma pure tutta la raccolta sembra essere divisa in quattro parti segnate ciascuna da un ditirambo, rispondenti*! a due a due, per la regolarità della loro costruzione. Alcuni tra i più belli di questi canti sono noti ai lettori del Marzocco, perché già essi li lessero, deliziose primizie, nelle nostre colonne: Versilia, Li morte del Cervo e il meraviglioso Commiato, fra gli altri. È. più che lo spettacolo, In vita stessa della natura che il poeta sorprende cd esprime in tutta la sua magnificenza, con tutto quel sentimento pagano di cui si sente pervaso, e cito fa sf che nella sua esaltazione egli veda incarnata in un’immagine vivente ed umana tutta la varia c multiforme vita sparsa nelle forme vegetali, fc il fanciullo che egli persegue sempre e che sempre gli s’invola, forse convcrtito in un lantasma della sua mente; è il fanciullo nel cui sufoletto s’avviva il gran tutto: Ogni voce in tuo suono si ritrova e in ogni voce sci sparso, quando apri e chiudi i fori alterni. Par quasi che tu sol le cose muova mentre solo ti bei nrIPobliedire ai movimenti eterni. Tutto ignori e discenti ^ tutte le verità che. l’ombra asconde. Se interroghi la terra il eie! risponde; se favelli con Tacque, odono i fiori. Via via questa esaltazione cresce fino a che arriva ad un punto altissimo e si disfrena nella furia di un ditirambo. Cosf una prima parte si conchiude con una meravigliosa descrizione della campagna romana ove la tetra esprimo tutta la sua forza c in cui il poeta

  • vede i cavalli stessi del sole calpestare «il

rinato frumento di Roma». E segue una deliziosa p^rte in cui l’acqua canta tutti i suoi misteri e tutti i suoi ritmi. Non so se vi sia musica che possa, vincere in dolcezza quella divina Tosone, e Bocca d’Arno, c i Tributari/ c tutte le altre che i| poeta ha qui adunate. Ascoltate: Come l’Kstatc |>orta l’oro in bocca l’Arno porta il silenzio nifi, sua foce. Tutto il mattino per la dolce landa • quinci è un cantare e quiudi altro cantare: Tace l’acqua tra l’una e l’altra voce e l’Estate or si china da ima banda or dall’ultra si piega ad ascoltare. K lento il fiume, il naviglio è veloce la riva è pura come una ghirlanda. L’acqua stessa ha cantato per bocca del poeta, inconscio questa volta d’ogni mezzo che può suggerir l’arte; poiché, o io m’inganno, o qui si è completamente spogliato di ogni suo artificio esterno per non comunicarci clic la sola ed interiore sua armonia. h conto già prima anche ora il sentimento dell’acqua trova la sua più alta espressione nei Ditirambo di Glauco, quando cioè la vita fluida è cessata di esistere al di fuori di noi, e circola nelle nostre vene, c accoglie nel suo seno l’anima nostra palpitante su di essa come un alcione. Ma lo s|>cttacolo ancora muta, li la Versilia che il poeta descrive in tutta la sua varietà, in quella fiora bellezza, che la chiostra delle Alpi Apuane cinge come una corona. Dopo quel che il poeta ha detto di lei, nulla, lo credo, sarà più possibile agli altri di aggiungere; ogni cosa è stata vista, ogni ora i stata sentita, ogni messe di impressioni è stata falciata. Il profilo aspro e nitido dei monti ha prestato al poeta quella forza con cui lui plasmato le nitido e potenti strofe della Morte del Cervo; e i loro vertici dritti verso il cieln hanno innalzato l’animo suo fino ai domini eterei, e cosf l’ardore dell’aria, della libertà freme nell’ultimo ditirambo ove Icaro •corazza pei regni di Apollo in preda allr vertigine, aU’ebbrozza. E chiude il voluino un languido ricordo di cose lontane richiamate dal loro esilio dalla malinconia autunnalcl’arlarc paratamente d’ogni poesia del volume itoti è possibile, e d’altra parte dare di tutte un’impressione generale è assai malagevole, tanto ognuna ha una propria vita, una propria tonalità per cui si distingue dalle altre. Lo spirito pagano del poeta ha in questo volume la più splendida manifestazione in ogni sentimento che s’effonde dilla sua anima, in ogni rappresentazione di miti che egli rifà meravigliosamente dalla tradizione o che egli foggia nuovi nel suo spirito, come il mito di quell’biniti!no, la ninfa delle spiaggic marine che sa leggere le misteriose lettere che le onde coll’orlo delle loro spume tracciano sull’arena: Scemo con orecchia tranquilla i toni dell’ond.i che viene, indago con chiara pupilla più oltre ogni segno più lene; cosi che la musica traccia m’è suono, e ne’ rigiri leggeri mentre Oggi Odo ansar la bonaccia leggo la tempesta di ieri. I- si» gloria al creatore di miti nuovi, al poeti nostro, a lui che non sa riposi, che ascende sempre più in alto c sempre con la visione nell’occhio di un’allczza più superba da raggiungete. Egli ha la fede sicura nella vittoria; nella vittoria che sola può dar pace al suo spirilo non dòmo. G. S. Gargàno. Tipi che spariscono. Il Signor Licurgo. M’aveva dato nell’occhio da un pezzo, ma non avevo inai fermata l’attenzione sulla persona alta e magra, sul volto sempre giovane nonostante le rughe profonde clic lo solcavano, né su quegli occhi dolorosamente sorridenti del vecchio pensoso e laciturno. Tutte le sere, alla stessa ora, attraversava lentamente la lunga stanza del Caffè, appoggiandosi a un forte bastone; e, appena giunto il) fondo, sedeva in un angolo.qnasi al buio, dove un antico tavoleggiante, da lunghi anni abituato, era pronto a salutarlo e a posare dinanzi a lui, sul marmo del tavolino, il solito ponce, il solito giornale e il solito fiammifero per accender la pipa. — Buona sera, signor I.icurgo. — Buona sera, Beppe. Il tavoleggiante andava ad occuparsi di altri avventori; lui restava solo a leggere, a sorseggiare e a fumare. Qualche anno addietro a quel tavolino erano quattro. F. a quel tempo ven:" " «|,é remoto cantuccio della stanza vod. di accalorate discussioni. Poi rimasi. ^od0* e.; e le voci diventarono più basse e più rade. Poi rimasero in due; e le voci e i tumori quasi cessarono. Da sei mesi il vecchio taciturno ò solo; e da quell’angolo ora non viene che il frusc/o del giornale, qualche rado colpo di tosse c, a regolari intervalli, quelli della pipa battuta sul marmo per vuotarne la cenere. La sera che ebbi occasione di conoscerne un po’ meglio la persona e la voce, il Caffè era quasi deserto. Pioveva cd era freddo. Due campagnuoli impastranati a un tavolino, il piccolo crocchio nel quale mi trovavo io, e i due tavoleggianti, uno in cima e uno in fondo, seduti a sonnecchiare. In una casa vicina facevano musica e allegria; e i suoni c le voci giungevano cosf chiare fino a noi clic, lasciato il chiacchiericcio, ci mettemmo attenti ad ascoltare. L’allegra brigata cantava e suonava un po’ di lutto: e dalle più ustrusc melodie vagnorianc barbaramente sciagattate pattava, all’improvviso, a canzoni popolari energicamente vociale in pieno coro, con interruzioni di grandi risate e di evviva! Durava da qualche minuto la musicalo gazzarra quando, all’intonazione di un canto lento e solenne, a noi»conosciuto, vidi il vecchio incrociare le braccia sul marmo del tavolino e affondare fra quelle In testa, mentre tutta la sua personu si agitava in forti scossa come se piangesse dirottamente. I due tavoleggianti corsero da lui, dando a noi un’occhiata di interrogazione e di sgomento. > — Signor Licurgo, si sente male? II vecchio rispondeva di no, tentennando la testa, sempre affondata fra le braccia. — - Ha bisogno di qualche com, signor Licurgo? Dopo un lungo silenzio, il vecchio si alzò lentamente, si guardò dintorno, asciugandosi gli occhi gonfi di lacrime, e, dopo essersi calcato il largo cappello sulla fronte, afferrò con matto tremante il bastono, lasciò il suo posto per andarsene e, quando passò dinanzi a noi che lo gnaulavamo stupefatti: — Altri tempi, signori — disse, irridendo quella sua passeggierà debolezza. — Sono un poets.... sono un sognatore.... la musica mi commuove.... Scusatemi, signori. Buona notte. Ed usci fuori fra la pioggia che cadeva a diluvio, senza neanche sentire la voce del vecchio tavoleggiante il quale, affacciatosi sull liscio, gli diceva: -- Piove troppo forte, signor Licurgo. Vuole un ombrello?... Prenderà un malanno signor Licurgo!. ’ Li robusta figura del vecchio si dileguò nel buio della larga piazza sferrata, c i] pietoso tavoleggiante rientrò nel Caffè, guardando accorato i nostri occhi che lo interrogavano. — Io lo so che cosa ha avuto il signor I.icurgo disse Beppe, fermandosi alle mie spalle, accanto al tavolino dove stavo seduto fra i miei amici. lo lo so. Questa medesima scena accadde un’altra volta.... sarà ora una diecina d’anni. Allora a quel tavolino erano tre 1 Si abbracciavano e si stringevano fra loro le mani; e vollero un altro ponce perché passò una brigata di giovanotti che cantavano al ronzio di mandolini c di chitarre, l’inno di Garibaldi. Quello che cantavano poco fa quei signori in quella casa, era un inno del Quarantotto. Lor signori a quei tempi non erano neanche nati, lo ero bambino, ma me tic ricordo come se fosse ora. Lo cantava il popolo qui tuori, la, in mezzo alla piazza, intorno all’albero della liberta, dove ora c’è quella fontana c quelle panchine di pietra. Il signor Licurgo s’è intenerito a risentire quel canto; e io.... io non sono stato buono a dirgli nulla perché m’ero intenerito anch io. Glie imbecilli, che imbecilli siamo! — E si mosse per andarsene. Ma io lo fermai e gli domandai: Lo conosci bene, tu, quel signore? — Quel signore! — mi rispose il vecchio Beppe, sorridendo amaramente. Ma riprese subito, correggendosi: — Si, un signore è; dice bene lei. Ma il signore gli è rimasto soltanto negli occhi e nel cuore. Se lor signori sapessero di quel galantuomo tutto quello che so io.... Ma già è meglio non raccontarne nulla. L’ultima volta che parlai di lui a una comitiva di giovinastri che erano qui a bere e che, dietro le spalle, lo avevano messo in canzonella, m’ebbc a costar cara. Prima mi trattarono d’ogni vituperio, poi, chiamandoci anche forcaioli, poco ci corse che non bastonassero me c il padrone; e se n’andarono via urlando, senza pagare.... Mi lascino andare, mi lascino andare. K dopo essersi accostato a un avventore entrato allora, dette al marmo una strusciata col cencio, dette a noi un’occhiata scontrosa, c si avviò verso l’uscio della cucina, brontolando incoscientemente la solita menzogna: — Fai un caffè apposta.... ben caldo! Notizie dell’antico patriotta ne ebbi dopo, per caso e per sommi capi, da un suo ni"*!’°to il quale, dando ora in escandescenze -iti sdegno, ora in sonore risate contro il vecchio brontolone c sognatore, me tic parlava. Al tavoleggiante, ormai sospettoso e quasi diffidente della nuova aria, del proprio senno e della propria onestà, non fu possibile tirar fuori altro che dei ma dubitosi, dei ruvidi scrollamenti di capo e dei larghi gesti di scoraggiamento. E il nipote ini raccontava; e scambiando Io sbalordimento che dovevo avere nel viso per annue tua al ghiaccio mortale delle sue parole, mi incalzava di: — Ma ne conviene? I Mi corregga, se sbaglio! Le par giusto?! Non direbbe lo stesso anche lei? Non le verrebbe voglia di ridere, se non fossero cose da far piangere? I Io tacevo e Io guardavo. Lui continuava: — .... Un patrimonio..,, e che bel patrimonio 1 mandato in rovina fino alle ultime barbe; tutto dilapidato in bandiere, opuscoli, fucili c sovvenzioni a una turba di vagabondi che si chiamavano emigrati I Eppoi le mangerie di chi restava quando lui era in prigione o in esilio; c più tardi tutte quell’altre quando perse anni c anni nelle campagne, che fece tutto dalla prima fino all’ultima 1 E mio padre era con lui; e noi altri a casa a piangere. E ora tocca a ine a dover mantener tutti, con quel bell’impiego di cento Bracco il mese, schiavo d’un sindaco bestia c d’ini segretario più bestia che mai I Lo vada a dire u lui, e sentirà! Glielo domandi la bella ricompensa che gli £ toccata. Se la faccia dire la bella pensione che s’è guadagnato per la vecchiaia! Per lui tutti sono buona gente, c non si accorge che lutti lo imbrogliano. F. fosse almeno finita qui! Se almeno si contentasse di start} a casa, di dar retta ai nostri consigli e di badare al fatto suo. Nossignore 1 * Un buon cittadino deve fare come me» dice lui; e intanto i quattrini delia pensiono sono sempre spariti, quasi prima (Favorii riscossi, in un monte di huffonatc che non finiscono mai. Lei riderà a sentirmi raccontare queste cose; ma io, no. Io no, perché so quello che mi costa. C’è il trasporto funebre d’un reduce? Eccotclo in prima riga, col (lanciotto tutto impiastrato di medaglie. C*è una commemorazione patriottica da celebrare, c’è un monumento da inaugurarsi? Lui non v’è caso che manchi. Eccotelo If, a petto iu