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dalla poca frequenza con cui li aveva praticati specialmente in questi ultimi anni, suscitati quel giorno dalla vivissima impressione dell’inattesa vista del Crocifisso, gli erano rifioriti, da una settimana, nel cuore con la stessa semplicità, con la stessa sincerità di quand’era fanciullo.
Egli vi aveva opposto, sì, una specie di resistenza, quasi per istinto di conservazione, di difesa personale; ma quella notte, nello sconvolgimento della natura, il suo coraggio, il suo orgoglio avevano vacillato, avevano ceduto.
Ed era uscito di casa, spinto pure dalla certezza che nessuno, durante la tempesta scatenatasi su Ràbbato, lo avrebbe visto entrare dal prete, nessuno avrebbe potuto sospettare niente dell’atto ch’egli andava a compire.
Per questo non era umile davanti al confessore, per questo si ostinava a ripetere: — Se lo meritava! — parlando dell’ucciso.
Visto che il marchese intendeva di diffondersi nella narrazione, e comprendendo che avrebbe sofferto stando lungamente in ginocchio, don Silvio lo interruppe:
— Per le facoltà accordatemi, vi dispenso di continuare a confessarvi ginocchioni. Sedete; potrete parlare più liberamente.
Il marchese obbedì, grato di quel che gli pareva un giusto riguardo alla sua persona; e riprese: