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E, affacciatosi allo sportello, vide l’avvocato don Aquilante, con le lunghe gambe penzoloni dal parapetto di un ponticello, il cappellone di feltro nero, a larghe falde, che gli riparava dal sole, come un ombrello, la faccia sbarbata, con la grossa canna d’India tenuta ferma da una mano sul paracarro sottostante.
Don Aquilante socchiuse gli occhi, scosse la testa con l’abituale movimento, portò l’altra mano allo stomaco, quasi volesse reggere la cintura rilasciata dei calzoni, e scese dal parapetto, aggrottando le sopracciglia, stringendo le labbra con l’aria di un uomo importunamente disturbato.
— Qui, con questo sole? — disse il marchese aprendo lo sportello della carrozza.
Don Aquilante fece soltanto una mossa che voleva significare: Se sapeste! e, accettando l’invito espressogli con un gesto, montò accanto al marchese. Le mule ripartirono al trotto.
— Qui, con questo sole? — tornò quegli a domandare.
— Voi siete scettico.... Non importa!... Vi convincerete un giorno o l’altro! — rispose don Aquilante.
Il marchese sentì corrersi un brivido per tutta la persona. Pure fece il bravo, sorrise; e quantunque avesse pregato don Aquilante di non più riparlargli di quelle cose, ed ora ne sentisse più che mai invincibile terrore, provò un impeto di sfida per vincere