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Era seduto a tavola. Mamma Grazia, portato il vassoio dell’insalata, vedendo che il marchese mangiava con aria cupa, evitando di guardarla e di rivolgerle la parola, si era fermata a osservarlo, incrociando le mani sotto il grembiale di traliccio. Due grigi cernecchi dei pochi capelli mal pettinati le si sparpagliavano su la fronte piena di grinze, cascandole sugli occhi, da uno dei quali, con gli orli delle palpebre rossi, non ci vedeva per un disgraziato accidente di molti anni addietro, quando, divezzato il marchese, era rimasta come serva dai Roccaverdina.

— A che pensi, figlio mio? — ella disse teneramente.

E all’inattesa domanda il marchese faceva una rapida mossa di tutti i muscoli della faccia, quasi volesse, con essa, trafugare nel più oscuro posto del cervello i pensieri che lo tormentavano e nasconderli anche a sè stesso.

Ella, che aveva notato, altre due o tre volte, una mossa simile e in identiche circostanze, ne fu addolorata.

— A me puoi dirlo — soggiunse accostandosi alla tavola. — Sono la tua mamma Grazia!

— Non trovo certe antiche scritture; pensavo appunto dove cercarle — rispose il marchese.

— Giù, nel mezzanino ce n’è una catasta.

— Dici bene.